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ATTO PRIMO


Scena Prima

(Parte del Foro romano con trono imperiale da un lato. Vista di Roma illuminata in tempo di notte, con archi trionfali ed altri apparati festivi, apprestati per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d’Ezio, vincitore d’Attila)

▼MASSIMO▲
Signor, mai con più fasto
La prole di Quirino
Non celebrò d’ogni secondo lustro
L’ultimo dì. Di tante faci il lume
L’applauso popolar turba alla notte
L’ombre e i silenzi; e Roma
Al secolo vetusto
Più non invidia il suo felice Augusto.

▼VALENTINIANO▲
Godo ascoltando i voti
Che a mio favor sino alle stelle invia
Il popolo fedel: le pompe ammiro:
Attendo il vincitor: tutte cagioni
Di gioia a me. Ma la più grande è quella,
Ch’io possa offrir con la mia destra in dono
Ricco di palme alla tua figlia il trono.

▼MASSIMO▲
all’umiltà del padre
Apprese Fulvia a non bramare il soglio,
E a non sdegnarlo apprese
Dall’istessa umiltà. Cesare imponga:
La figlia eseguirà.

▼VALENTINIANO▲
Fulvia io vorrei
Amante più, men rispettosa.

▼MASSIMO▲
È vano
Temer ch’ella non ami
Que’ pregi in te che l’universo ammira.

(fra sè)

Il mio rispetto alla vendetta aspira.

▼VARO▲
Ezio s’avanza. Io già le prime insegne
Veggo appressarsi.

▼VALENTINIANO▲
Il vincitor s’ascolti:
E sia Massimo a parte
De’ doni che mi fa la sorte amica.

(Valentiniano va sul trono, servito da Varo)

▼MASSIMO▲
(fra sè)
Io però non oblio l’ingiuria antica.

Scena Seconda

(Ezio, preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de’ vinti, seguìto da’ soldati vincitori e popolo, e detti)

▼EZIO▲
Signor, vincemmo. Ai gelidi trioni
Il terror de’ mortali
Fuggitivo ritorna. Il primo io sono,
Che mirasse fin ora
Attila impallidir. Non vide il sole
Più numerosa strage. A tante morti
Era angusto il terreno. Il sangue corse
In torbidi torrenti;
Le minacce, i lamenti
S’udiam confusi, e fra i timori e l’ire
Erravano indistinti
I forti, i vili, i vincitori, i vinti.
Né gran tempo dubbiosa
La vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
Fugge il tiranno e cede
Di tante ingiuste prede,
Impacci al suo fuggir, l’acquisto a noi.
Se una prova ne vuoi,
Mira le vinte schiere:
Ecco l’armi, le insegne e le bandiere.

▼VALENTINIANO▲
Ezio, tu non trionfi
D’Attila sol: nel debellarlo, ancora
Vincesti i voti miei. Tu rassicuri
Su la mia fronte il vacillante alloro:
Tu il marzial decoro
Rendesti al Tebro; e deve
Alla tua mente, alla tua destra audace
L’Italia tutta e libertade e pace.

▼EZIO▲
L’Italia i suoi riposi
Tutta non deve a me; v’è chi Li deve
Solo al proprio valore. All’Adria in seno
Un popolo d’eroi s’aduna, e cangia
In asilo di pace
L’instabile elemento.
Con cento ponti e cento
Le sparse isole unisce;
Con le moli impedisce
All’Ocean la libertà dell’onde.
E intanto su le sponde
Stupido resta il pellegrin, che vede,
Di marmi adorne e gravi,
Sorger le mura ove ondeggiàr le navi

▼VALENTINIANO▲
Chi mai non sa qual sia
D’Antenore la prole? È noto a noi
Che, più saggia d’ogni altro,
Alle prime scintille
Dell’incendio crudel ch’Attila accese,
Lasciò i campi e le ville,
E in grembo al mar la libertà difese.
So già quant’aria ingombra
La novella cittade; e volgo in mente
Qual può sperarsi adulta,
Se nascente è così.

▼EZIO▲
Cesare, io veggo
I semi in lei delle future imprese:
Già s’avvezza a regnar. Sudditi i mari
Temeranno i suoi cenni. Argine all’ire
Sarà de’ regi; e porterà felice,
Con mille vele e mille aperte al vento,
Ai tiranni dell’Asia alto spavento.

▼VALENTINIANO▲
Gli augùri fortunati secondi il Ciel.

(scende dal trono)

Fra queste braccia intanto
Tu, del cadente impero e mio sostegno,
Prendi d’amore un pegno. A te non posso
Offrir che i doni tuoi.
Serbami, amico,
Quei doni istessi; e sappi
Che, fra gli acquisti miei,
Il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.

Se tu la reggi al volo
Su la tarpea pendice,
L’aquila vincitrice
Sempre tornar vedrò.
Breve sarà per lei
Tutto il cammin del sole;
E allora i regni miei
Col Ciel dividerò.

(parte con Varo e pretoriani)

Scena Terza

(Ezio, Massimo e poi Fulvia con paggi ed alcuni schiavi)

▼MASSIMO▲
Ezio, donasti assai
Alla gloria e al dover: qualche momento
Concedi all’amistà: lascia ch’io stringa
Quella man vincitrice.

(Massimo prende per mano Ezio)

▼EZIO▲
Io godo, amico,
Nel rivederti, e caro
M’è l’amor tuo de’ miei trionfi al paro.
Ma Fulvia ove si cela?
Che fa? Dov’è?
Quando ciascun s’affretta
Su le mie pompe ad appagar le ciglia,
La tua figlia non viene?

▼MASSIMO▲
Ecco la figlia.

▼EZIO▲
(a Fulvia, nell’uscire)
Cara, di te più degno
Torna il tuo sposo, e al volto tuo gran parte
Deve de’ suoi trofei.
Fra l’armi e l’ire
Mi fu sprone egualmente
E la gloria e l’amor: né vinto avrei,
Se premio a’ miei sudori
Erano solo i trionfali allori.
Ma come! A’ dolci nomi
E di sposo e d’amante
Ti veggo impallidir! Dopo la nostra
Lontananza crudel, così m’accogli?
Mi consoli così?

▼FULVIA▲
(fra sè)
Che pena!

(Ad Ezio)

Io vengo… signor…

▼EZIO▲
Tanto rispetto,
Fulvia, con me! Perché non dir «mio fido»?
Perché «sposo» non dirmi? Ah! tu non sei
Per me quella che fosti.

▼FULVIA▲
Oh Dio! son quella;
Ma senti… Ah! genitor, per me favella.

▼EZIO▲
Massimo, non tacer.

▼MASSIMO▲
Tacqui fin ora,
Perché co’ nostri mali a te non volli
Le gioie avvelenar. Si vive, amico,
Sotto un giogo crudel. Anche i pensieri
Imparano a servir. La tua vittoria,
Ezio, ci toglie alle straniere offese:
Le domestiche accresce. Era il timore
In qualche parte almeno
A Cesare di freno: or che vincesti,
I popoli dovranno
Più superbo soffrirlo e più tiranno.

▼EZIO▲
Io tal nol credo. Almeno
La tirannide sua mi fu nascosa.
Che pretende? Che vuol?

▼MASSIMO▲
Vuol la tua sposa.

▼EZIO▲
La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
Consentite a tradirmi?

▼FULVIA▲
Ahimè!

▼MASSIMO▲
Qual arte,
Qual consiglio adoprar?
Vuoi che l’esponga,
Negandola al suo trono,
D’un tiranno al piacer?
Vuoi che su l’orme
Di Virginio io rinnovi,
Per serbarla pudica,
L’esempio in lei della tragedia antica?
Ah! tu solo potresti
Frangere i nostri ceppi,
Vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
Del popolo e dell’armi.
A Roma oppressa.
All’amor tuo tradito
Dovresti una vendetta. Al fin tu sai
Che non si svena al Cielo
Vittima più gradita
D’un empio re.

▼EZIO▲
Che dici mai! L’affanno
Vince la tua virtù. Giudice ingiusto
Delle cose è il dolor. Sono i monarchi
Arbitri della terra;
Di loro è il Cielo. Ogni altra via si tenti,
Ma non l’infedeltade.

▼MASSIMO▲
(abbraccia Ezio)
Anima grande,
Al par del tuo valore
Ammiro la tua fé, che più costante
Nelle offese diviene.

(fra sè)

Cangiar favella e simular conviene.

▼FULVIA▲
Ezio così tranquillo
La sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?

▼EZIO▲
Tu sei pur d’ogni laccio
Disciolta ancora. Io parlerò. Vedrai
Tutto cangiar d’aspetto.

▼FULVIA▲
Oh Dio! se parli,
Temo per te.

▼EZIO▲
L’imperator fin ora
Dunque non sa ch’io t’amo?

▼MASSIMO▲
Il vostro amore
Per tema io gli celai.

▼EZIO▲
Questo è l’errore.
Cesare non ha colpa. Al nome mio
Avria cangiato affetto. Egli conosce
Quanto mi deve, e sa ch’opra da saggio
L’irritarmi non è.

▼FULVIA▲
Tanto ti fidi?
Ezio, mille timori
Mi turban l’alma. È troppo amante Augusto:
Troppo ardente tu sei. Rifletti, oh Dio!
Pria di parlar. Qualche funesto evento
Mi presagisce il cor. Nacqui infelice,
E sperar non mi lice
Che la sorte per me giammai si cangi.

▼EZIO▲
Son vincitor, sai che t’adoro, e piangi?

Pensa a serbarmi, o cara,
I dolci affetti tuoi:
Amami, e lascia poi
Ogni altra cura a me.
Tu mi vuoi dir col pianto
Che resti in abbandono:
No, così vil non sono, e meco ingrato tanto
No, Cesare non è.

(parte)

Scena Quarta

▼FULVIA▲
È tempo, o genitore,
Che uno sfogo conceda al mio rispetto.
Tu pria d’Ezio all’affetto
Prometti la mia destra; indi m’imponi
Ch’io soffra, ch’io lusinghi
Di Cesare l’amore; e m’assicuri
Che di lui non sarò. Servo al tuo cenno,
Credo alla tua promessa; e, quando spero
D’Ezio stringer la mano,
Ti sento dir che lo sperarlo è vano.

▼MASSIMO▲
Io d’ingannarti, o figlia,
Mai non ebbi il pensier. T’accheta. Al fine,
Non è il peggior de’ mali
Il talamo d’Augusto.

▼FULVIA▲
E soffrirai
Ch’abbia sposa la figlia
Chi della tua consorte
Insultò l’onestà? Così ti scordi
Le offese dell’onor? Così t’abbagli
Del trono allo splendor?

▼MASSIMO▲
Vieni al mio seno,
Degna parte di me. Quell’odio illustre
Merita ch’io ti scopra
Ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
Dell’onor mio dissimulai le offese.
Perde l’odio palese
Il luogo alla vendetta. Ora è vicina:
Eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
Tu puoi svenarlo: o almeno
Agio puoi darmi a trapassargli il seno.

▼FULVIA▲
Che sento! E con qual fronte
Posso a Cesare offrirmi
Coll’idea di tradirlo? Il reo disegno
Mi leggerebbe in faccia. A’ gran delitti
È compagno il timor.
L’alma ripiena
Tutta della sua colpa
Teme se stessa. È qualche volta il reo
Felice sì, non mai sicuro. E poi
Vindice di sua morte
Il popolo saria.

▼MASSIMO▲
L’odia ciascuno:
Vano è il timor.

▼FULVIA▲
T’inganni: il volgo insano
Quel tiranno talora,
Che vivente aborrisce, estinto adora.

▼MASSIMO▲
Tu l’odio mi rammenti, e poi dimostri
Quell’istessa freddezza
Che disapprovi in me!

▼FULVIA▲
Signor, perdona
Se libera ti parlo. Un tradimento
Io non consiglio, allora
Che una viltà condanno.

▼MASSIMO▲
Io ti credea,
Fulvia, più saggia e men soggetta a questi
Di colpa e di virtù lacci servili,
Utili all’alme vili,
Inutili alle grandi.

▼FULVIA▲
Ah! non son questi
Que’ semi di virtù, che in me versasti
Da’ miei primi vagiti infino ad ora.
M’inganni adesso o m’ingannasti allora?

▼MASSIMO▲
Ogni diversa etade
Vuol massime diverse.
Altro a’ fanciulli,
Altro agli adulti è d’insegnar permesso.
Allora io t’ingannai.

▼FULVIA▲
M’inganni adesso.
Che l’odio della colpa,
Che l’amor di virtù nasce con noi,
Che da’ principii suoi
L’alma ha l’idea di ciò che nuoce o giova,
Mel dicesti; io lo sento;
ognun lo prova.
E, se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
Quando togliermi tenti
L’orror d’un tradimento, orror ne senti.
Ah! se cara io ti sono,
Pensa alla gloria tua, pensa che vai…

▼MASSIMO▲
Taci, importuna. Io t’ho sofferta assai.
Non dar consigli, o, consigliar se brami,
Le tue pari consiglia.
Rammenta ch’io son padre e tu sei figlia.

▼FULVIA▲
Caro padre, a me non dei
Rammentar che padre sei:
Io lo so; ma in questi accenti
Non ritrovo il genitor.
Non son io chi ti consiglia:
È il rispetto d’un regnante,
È l’affetto d’una figlia,
È il rimorso del tuo cor.

(parte)

Scena Quinta

▼MASSIMO▲
Che sventura è la mia! Così ripiena
Di malvagi è la terra; e, quando poi
Un malvagio vogl’io, son tutti eroi.
Un oltraggiato amore
D’Ezio gli sdegni ad irritar non basta.
La figlia mi contrasta… Eh, di riguardi
Tempo non è. Precipitare omai
Il colpo converrà: troppo parlai.
Pria che sorga l’aurora,
Mora Cesare, mora. Emilio il braccio
Mi presterà. Che può avvenirne? O cade
Valentiniano estinto, e pago io sono;
O resta in vita, ed io farò che sembri
Ezio il fellon.
Facile impresa. Augusto
Invido alla sua gloria,
Rivale all’amor suo, senz’opra mia
Il reo lo crederà. S’altro succede,
Io saprò dagli eventi.
Prender consiglio. Intanto
Il commettersi al caso
Nell’estremo periglio
È il consiglio miglior d’ogni consiglio.

Il nocchier, che si figura
Ogni scoglio, ogni tempesta,
Non si lagni se poi resta
Un mendico pescator.
Darsi in braccio ancor conviene
Qualche volta alla Fortuna;
Ché sovente in ciò che avviene
La Fortuna ha parte ancor.

(parte)

Scena Sesta

(Camere imperiali istoriate di pitture)

▼ONORIA▲
Del vincitor ti chiedo,
Non delle sue vittorie: esse abbastanza
Note mi son. Con qual sembiante accolse
L’applauso popolar? Serbava in volto
La guerriera fierezza? Il suo trionfo
Gli accrebbe fasto, o mansueto il rese?
Questo narrami, o Varo, e non le imprese.

▼VARO▲
Onoria, a me perdona
Se degli acquisti suoi, più che di lui,
La germana d’Augusto
Curiosa io credei. Sembrano queste
Sì minute richieste
D’amante più che di sovrana.

▼ONORIA▲
È troppa
Questa del nostro sesso
Misera servitù. Due volte appena
S’ode da’ labbri nostri
Un nome replicar, che siamo amanti.
Parlano tanti e tanti
Del suo valor, delle sue gesta, e vanno
D’Ezio incontro al ritorno:
Onoria sola
Nel soggiorno è rimasta,
Non v’accorse, nol vide; e pur non basta.

▼VARO▲
Un soverchio ritegno
Anche d’amore è segno.

▼ONORIA▲
Alla tua fede,
Al tuo lungo servir tollero, o Varo,
Di parlarmi così. Ma la distanza,
Ch’è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
Difendermi abbastanza.

▼VARO▲
Ognuno ammira
D’Ezio il valor: Roma l’adora: il mondo
Pieno è del nome suo; fino i nemici
Ne parlan con rispetto:
Ingiustizia saria negargli affetto.

▼ONORIA▲
Giacché tanto ti mostri
Ad Ezio amico, il suo poter non devi
Esagerar così. Cesare è troppo
D’indole sospettosa.
Vantandolo al germano, uffizio grato
All’amico non rendi.
Chi sa? Potrebbe un dì…
Varo, m’intendi.

▼VARO▲
Io, che son d’Ezio amico,
Più cauto parlerò; ma tu, se l’ami,
Mostrati, o principessa,
Meno ingegnosa in tormentar te stessa.

Se un bell’ardire
Può innamorarti,
Perché arrossire,
Perché sdegnarti
Di quello strale
Che ti piagò?
Chi si fe’ chiaro
Per tante imprese,
Già grande al paro
Di te si rese;
Già della sorte
Si vendicò.

(parte)

Scena Settima

▼ONORIA▲
Importuna grandezza,
Tiranna degli affetti, e perché mai
Ci neghi, ci contrasti
La libertà d’un ineguale amore,
Se a difender non basti il nostro core?

Quanto mai felici siete,
Innocenti pastorelle,
Che in amor non conoscete
Altra legge che l’amor!
Ancor io sarei felice
Se potessi all’idol mio
Palesar, come a voi lice,
Il desio di questo cor.

(parte)

Scena Ottava

▼VALENTINIANO▲
(ad una comparsa che, ricevuto l’ordine, parte)
Ezio sappia ch’io bramo
Seco parlar; che qui l’attendo.

(a Massimo)

Amico,
Comincia ad adombrarmi
La gloria di costui. Ciascun mi parla
Delle conquiste sue: Roma lo chiama
Il suo liberatore: egli se stesso
Troppo conosce. Assicurarmi io deggio
Della sua fedeltà. Voglio d’Onoria
Al talamo innalzarlo, acciò che sia
Suo premio il nodo e sicurezza mia.

▼MASSIMO▲
Veramente per lui giunge all’eccesso
L’idolatria del volgo. Omai si scorda
Quasi del suo sovrano,
E un suo cenno potria…
Basta: credo che sia
Ezio fedele, e il dubitarne è vano:
Se però tal non fosse, a me parrebbe
Mal sicuro riparo
Tanto innalzarlo.

▼VALENTINIANO▲
Un sì gran dono ammorza
L’ambizion d’un’alma.

▼MASSIMO▲
Anzi l’accende.
Quando è vasto l’incendio, è l’onda istessa
Alimento alla fiamma.

▼VALENTINIANO▲
E come io spero
Sicurezza miglior? Vuoi ch’io m’impegni
Su l’orme de’ tiranni, e ch’io divenga
All’odio universale oggetto e segno?

▼MASSIMO▲
La prima arte del regno
È il soffrir l’odio altrui. Giova al regnante
Più l’odio che l’amor.
Con chi l’offende
Ha più ragion d’esercitar l’impero.

▼VALENTINIANO▲
Massimo, non è vero.
Chi fa troppo temersi
Teme l’altrui timor. Tutti gli estremi
Confinano fra loro. Un dì potrebbe
Il volgo contumace
Per soverchio timor rendersi audace.

▼MASSIMO▲
Signor, meglio d’ogni altro
Sai l’arte di regnare. Hanno i monarchi
Un lume ignoto a noi.
Parlai fin ora
Per zelo sol del tuo riposo, e volli
Rammentar che si deve
Ad un periglio opporsi infin che è lieve.

Se povero il ruscello
Mormora lento e basso,
Un ramoscello, un sasso
Quasi arrestar lo fa.
Ma se alle sponde poi
Gonfio d’umor sovrasta,
Argine oppor non basta,
E co’ ripari suoi
Torbido al mar sen va.

(parte)

Scena Nona

▼VALENTINIANO▲
Del Ciel felice dono
Sembra il regno a chi sta lunge dal trono;
Ma sembra il trono istesso
Dono infelice a chi gli sta d’appresso.

▼EZIO▲
Eccomi al cenno tuo.

▼VALENTINIANO▲
Duce, un momento
Non posso tollerar d’esserti ingrato.
Il Tebro vendicato,
La mia grandezza, il mio riposo è tutto
Del senno tuo, del tuo valore è frutto.
Se prodigo ti sono
Anche del soglio mio, rendo e non dono:
Onde, in tanta ricchezza, allor che bramo
Ricompensare un vincitore amico,
Trovo (chi ‘l crederia?)
ch’io son mendico.

▼EZIO▲
Signor, quando fra l’armi
A pro di Roma, a pro di te sudai,
Nell’opra istessa io la mercé trovai.
Che mi resta a bramar? L’amor d’Augusto
Quando ottener poss’io,
Basta questo al mio cor.

▼VALENTINIANO▲
Non basta al mio.
Vuo’ che il mondo conosca
Che, se premiarti appieno
Cesare non poté, tentollo almeno.
Ezio, il cesareo sangue
S’unisca al tuo. D’affetto
Darti pegno maggior non posso mai.
Sposo d’Onoria al nuovo dì sarai.

▼EZIO▲
(fra sè)
Che ascolto!

▼VALENTINIANO▲
Non rispondi?

▼EZIO▲
Onor sì grande
Mi sorprende a ragion. D’Onoria il grado
Chiede un re, chiede un trono:
Ed io regni non ho, suddito io sono.

▼VALENTINIANO▲
Ma un suddito tuo pari
È maggior d’ogni re. Se non possiedi,
Tu doni i regni; e il possederli è caso,
Il donarli è virtù.

▼EZIO▲
La tua germana,
Signor, deve alla terra
Progenie di monarchi; e meco unita
Vassalli produrrà. Sai che con questi
Ineguali imenei
Ella a me scende,
io non m’innalzo a lei.

▼VALENTINIANO▲
Il mondo e la germana
Nell’illustre imeneo punto non perde:
E, se perdesse ancor, quando all’imprese
D’un eroe corrispondo,
Non può lagnarsi e la germana e il mondo.

▼EZIO▲
No, consentir non deggio
Che comparisca Augusto,
Per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.

▼VALENTINIANO▲
Duce, fra noi si parli
Con franchezza una volta. Il tuo rispetto
È un pretesto al rifiuto.
Al fin che brami?
Forse è picciolo il dono?
o vuoi per sempre
Cesare debitor? Superbo al paro
Di chi troppo richiede
È colui che ricusa ogni mercede.

▼EZIO▲
E ben, la tua franchezza
Sia d’esempio alla mia. Signor, tu credi
Premiarmi, e mi punisci.

▼VALENTINIANO▲
Io non sapea
Che a te fosse castigo
Una sposa germana al tuo regnante.

▼EZIO▲
Non è gran premio a chi d’un’altra è amante.

▼VALENTINIANO▲
Dov’è questa beltà che tanto indietro
Lascia il merto d’Onoria? È a me soggetta?
Onora i regni miei? Stringer vogl’io
Queste illustri catene.
Spiegami il nome suo.

▼EZIO▲
Fulvia è il mio bene.

▼VALENTINIANO▲
Fulvia!

▼EZIO▲
Appunto.

▼VALENTINIANO▲
(Si turba, fra sè)
Oh sorte!

(forte)

Ed ella, sa l’amor tuo?

▼EZIO▲
Nol credo.

(fra sè)

Contro lei non s’irriti.

▼VALENTINIANO▲
Il suo consenso
Prima ottener procura:
Vedi se tel contrasta.

▼EZIO▲
Quello sarà mia cura: il tuo mi basta.

▼VALENTINIANO▲
Ma potrebbe altro amante
Ragione aver sopra gli affetti suoi.

▼EZIO▲
Dubitarne non puoi. Dov’è chi ardisca
Involar temerario una mercede
Alla man che di Roma il giogo scosse?
Costui non veggo.

▼VALENTINIANO▲
E se costui vi fosse?

▼EZIO▲
Vedria ch’Ezio difende
Gli affetti suoi, come gl’imperi altrui:
Temer dovrebbe…

▼VALENTINIANO▲
E se foss’io costui?

▼EZIO▲
Saria più grande il dono,
Se costasse uno sforzo
al cor d’Augusto.

▼VALENTINIANO▲
Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
Uno sforzo in mercede.

▼EZIO▲
Ma Cesare è il sovrano: Ezio lo chiede.
Ezio che fin ad ora
Senza premio servì: Cesare, a cui
È noto il suo dover, che i suoi riposi
Sa che gode per me, che al voler mio,
Quando il soglio abbandona,
Sa che rende e non dona,
e che un momento
Non prova fortunato
Per tema sol di comparirmi ingrato.

▼VALENTINIANO▲
(fra sè)
Temerario!

(Ad Ezio)

Credea,
Nel rammentare io stesso i merti tuoi,
Di scemartene il peso.

▼EZIO▲
Io li rammento
Quando in premio pretendo…

▼VALENTINIANO▲
Non più: dicesti assai;
tutto comprendo.

So chi t’accese:
Basta per ora.
Cesare intese:
Risolverà
Ma tu procura
D’esser più saggio.
Fra l’armi e l’ire
Giova il coraggio:
Pompa d’ardire
Qui non si fa.

(parte)

Scena Decima

▼EZIO▲
Vedrem se ardisce ancora
D’opporsi all’amor mio.

▼FULVIA▲
Ti leggo in volto,
Ezio, l’ire del cor. Forse ad Augusto
Ragionasti di me?

▼EZIO▲
Sì, ma celai
A lui che m’ami; onde temer non dei.

▼FULVIA▲
Che disse alla richiesta e che rispose?

▼EZIO▲
Non cedé, non s’oppose:
Si turbò; me n’avvidi a qualche segno;
Ma non osò di palesar lo sdegno.

▼FULVIA▲
Questo è il peggior presagio. A vendicarsi
Cauto le vie disegna
Chi ha ragion di sdegnarsi e non si sdegna.

▼EZIO▲
Troppo timida sei.

Scena Undicesima

▼ONORIA▲
Ezio, gli obblighi miei
Sono immensi con te.
Volle il germano
Avvilir la mia mano
Sino alla tua; ma tu però, più giusto,
D’esserne indegno hai persuaso Augusto.

▼EZIO▲
No, l’obbligo d’Onoria
Questo non è. L’obbligo grande è quello
Ch’io fui cagion, nel conservarle il soglio,
Ch’or mi possa parlar con quest’orgoglio.

▼ONORIA▲
È ver, ti deggio assai: perciò mi spiace
Che ad onta mia mi rendano le stelle
Al tuo amore infelice
Di funeste novelle apportatrice.

(a Fulvia)

Fulvia, ti vuol sua sposa
Cesare al nuovo dì.

▼FULVIA▲
Come!

▼EZIO▲
Che sento!

▼ONORIA▲
Di recartene il cenno
Egli stesso or m’impose. Ezio, dovresti
Consolartene al fin: veder soggetto
Tutto il mondo al suo ben pur è diletto.

▼EZIO▲
Ah, questo è troppo! A troppo gran cimento
D’Ezio la fedeltà Cesare espone.
Qual dritto, qual ragione
Ha su gli affetti miei? Fulvia rapirmi?
Disprezzarmi così? Forse pretende
Ch’io lo sopporti? o pure
Vuol che Roma si faccia
Di tragedie per lui scena funesta?

▼ONORIA▲
Ezio minaccia; e la sua fede è questa?

▼EZIO▲
Se fedele mi brama il regnante,
Non offenda quest’anima amante
Nella parte più viva del cor.
Non si lagni se in tanta sventura
Un vassallo non serba misura,
Se il rispetto diventa furor.

(parte)

Scena Dodicesima

▼FULVIA▲
A Cesare nascondi,
Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele:
Parla così da disperato amante.

▼ONORIA▲
Mostri, Fulvia, al sembiante
Troppa pietà per lui, troppo timore.
Fosse mai la pietà segno d’amore?

▼FULVIA▲
Principessa, m’offendi. Assai conosco
A chi deggio l’affetto.

▼ONORIA▲
Non ti sdegnar così: questo è un sospetto.

▼FULVIA▲
Se prestar si dovesse
Tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
Dubitar ne faria. Ben da’ tuoi sdegni,
Come soffri un rifiuto, anch’io m’avvedo:
Dovrei crederti amante, e pur nol credo.

▼ONORIA▲
Anch’io, quando m’oltraggi
Con un sospetto al fasto mio nemico,
Dovrei dirti «arrogante», e pur nol dico.

Ancor non premi il soglio,
E già nel tuo sembiante
Sollecito l’orgoglio
Comincia a comparir.
Così tu mi rammenti
Che i fortunati eventi
Son più d’ogni sventura
Difficili a soffrir.

(parte)

Scena Tredicesima

▼FULVIA▲
Via, per mio danno aduna,
O barbara Fortuna,
Sempre nuovi disastri. Onoria irrita;
Rendi Augusto geloso, Ezio infelice;
Toglimi il padre ancor: toglier giammai
L’amor non mi potrai; ché a tuo dispetto
Sarà per questo core
Trionfo di costanza il tuo rigore.

Fin che un zeffiro soave
Tien del mar l’ira placata,
Ogni nave è fortunata
È felice ogni nocchier.
È ben prova di coraggio
Incontrar l’onde funeste,
Navigar fra le tempeste,
E non perdere il sentier.
ATTO PRIMO


Scena Prima

Parte del Foro romano con trono imperiale da un lato. Vista di Roma illuminata in tempo di notte, con archi trionfali ed altri apparati festivi, apprestati per celebrare le feste decennali e per onorare il ritorno d’Ezio, vincitore d’Attila

MASSIMO
Signor, mai con più fasto
La prole di Quirino
Non celebrò d’ogni secondo lustro
L’ultimo dì. Di tante faci il lume
L’applauso popolar turba alla notte
L’ombre e i silenzi; e Roma
Al secolo vetusto
Più non invidia il suo felice Augusto.

VALENTINIANO
Godo ascoltando i voti
Che a mio favor sino alle stelle invia
Il popolo fedel: le pompe ammiro:
Attendo il vincitor: tutte cagioni
Di gioia a me. Ma la più grande è quella,
Ch’io possa offrir con la mia destra in dono
Ricco di palme alla tua figlia il trono.

MASSIMO
all’umiltà del padre
Apprese Fulvia a non bramare il soglio,
E a non sdegnarlo apprese
Dall’istessa umiltà. Cesare imponga:
La figlia eseguirà.

VALENTINIANO
Fulvia io vorrei
Amante più, men rispettosa.

MASSIMO
È vano
Temer ch’ella non ami
Que’ pregi in te che l’universo ammira.

fra sè

Il mio rispetto alla vendetta aspira.

VARO
Ezio s’avanza. Io già le prime insegne
Veggo appressarsi.

VALENTINIANO
Il vincitor s’ascolti:
E sia Massimo a parte
De’ doni che mi fa la sorte amica.

Valentiniano va sul trono, servito da Varo

MASSIMO
fra sè
Io però non oblio l’ingiuria antica.

Scena Seconda

Ezio, preceduto da istromenti bellici, schiavi ed insegne de’ vinti, seguìto da’ soldati vincitori e popolo, e detti

EZIO
Signor, vincemmo. Ai gelidi trioni
Il terror de’ mortali
Fuggitivo ritorna. Il primo io sono,
Che mirasse fin ora
Attila impallidir. Non vide il sole
Più numerosa strage. A tante morti
Era angusto il terreno. Il sangue corse
In torbidi torrenti;
Le minacce, i lamenti
S’udiam confusi, e fra i timori e l’ire
Erravano indistinti
I forti, i vili, i vincitori, i vinti.
Né gran tempo dubbiosa
La vittoria ondeggiò. Teme, dispera,
Fugge il tiranno e cede
Di tante ingiuste prede,
Impacci al suo fuggir, l’acquisto a noi.
Se una prova ne vuoi,
Mira le vinte schiere:
Ecco l’armi, le insegne e le bandiere.

VALENTINIANO
Ezio, tu non trionfi
D’Attila sol: nel debellarlo, ancora
Vincesti i voti miei. Tu rassicuri
Su la mia fronte il vacillante alloro:
Tu il marzial decoro
Rendesti al Tebro; e deve
Alla tua mente, alla tua destra audace
L’Italia tutta e libertade e pace.

EZIO
L’Italia i suoi riposi
Tutta non deve a me; v’è chi Li deve
Solo al proprio valore. All’Adria in seno
Un popolo d’eroi s’aduna, e cangia
In asilo di pace
L’instabile elemento.
Con cento ponti e cento
Le sparse isole unisce;
Con le moli impedisce
All’Ocean la libertà dell’onde.
E intanto su le sponde
Stupido resta il pellegrin, che vede,
Di marmi adorne e gravi,
Sorger le mura ove ondeggiàr le navi

VALENTINIANO
Chi mai non sa qual sia
D’Antenore la prole? È noto a noi
Che, più saggia d’ogni altro,
Alle prime scintille
Dell’incendio crudel ch’Attila accese,
Lasciò i campi e le ville,
E in grembo al mar la libertà difese.
So già quant’aria ingombra
La novella cittade; e volgo in mente
Qual può sperarsi adulta,
Se nascente è così.

EZIO
Cesare, io veggo
I semi in lei delle future imprese:
Già s’avvezza a regnar. Sudditi i mari
Temeranno i suoi cenni. Argine all’ire
Sarà de’ regi; e porterà felice,
Con mille vele e mille aperte al vento,
Ai tiranni dell’Asia alto spavento.

VALENTINIANO
Gli augùri fortunati secondi il Ciel.

scende dal trono

Fra queste braccia intanto
Tu, del cadente impero e mio sostegno,
Prendi d’amore un pegno. A te non posso
Offrir che i doni tuoi.
Serbami, amico,
Quei doni istessi; e sappi
Che, fra gli acquisti miei,
Il più nobile acquisto, Ezio, tu sei.

Se tu la reggi al volo
Su la tarpea pendice,
L’aquila vincitrice
Sempre tornar vedrò.
Breve sarà per lei
Tutto il cammin del sole;
E allora i regni miei
Col Ciel dividerò.

parte con Varo e pretoriani

Scena Terza

Ezio, Massimo e poi Fulvia con paggi ed alcuni schiavi

MASSIMO
Ezio, donasti assai
Alla gloria e al dover: qualche momento
Concedi all’amistà: lascia ch’io stringa
Quella man vincitrice.

Massimo prende per mano Ezio

EZIO
Io godo, amico,
Nel rivederti, e caro
M’è l’amor tuo de’ miei trionfi al paro.
Ma Fulvia ove si cela?
Che fa? Dov’è?
Quando ciascun s’affretta
Su le mie pompe ad appagar le ciglia,
La tua figlia non viene?

MASSIMO
Ecco la figlia.

EZIO
a Fulvia, nell’uscire
Cara, di te più degno
Torna il tuo sposo, e al volto tuo gran parte
Deve de’ suoi trofei.
Fra l’armi e l’ire
Mi fu sprone egualmente
E la gloria e l’amor: né vinto avrei,
Se premio a’ miei sudori
Erano solo i trionfali allori.
Ma come! A’ dolci nomi
E di sposo e d’amante
Ti veggo impallidir! Dopo la nostra
Lontananza crudel, così m’accogli?
Mi consoli così?

FULVIA
fra sè
Che pena!

Ad Ezio

Io vengo… signor…

EZIO
Tanto rispetto,
Fulvia, con me! Perché non dir «mio fido»?
Perché «sposo» non dirmi? Ah! tu non sei
Per me quella che fosti.

FULVIA
Oh Dio! son quella;
Ma senti… Ah! genitor, per me favella.

EZIO
Massimo, non tacer.

MASSIMO
Tacqui fin ora,
Perché co’ nostri mali a te non volli
Le gioie avvelenar. Si vive, amico,
Sotto un giogo crudel. Anche i pensieri
Imparano a servir. La tua vittoria,
Ezio, ci toglie alle straniere offese:
Le domestiche accresce. Era il timore
In qualche parte almeno
A Cesare di freno: or che vincesti,
I popoli dovranno
Più superbo soffrirlo e più tiranno.

EZIO
Io tal nol credo. Almeno
La tirannide sua mi fu nascosa.
Che pretende? Che vuol?

MASSIMO
Vuol la tua sposa.

EZIO
La sposa mia! Massimo, Fulvia, e voi
Consentite a tradirmi?

FULVIA
Ahimè!

MASSIMO
Qual arte,
Qual consiglio adoprar?
Vuoi che l’esponga,
Negandola al suo trono,
D’un tiranno al piacer?
Vuoi che su l’orme
Di Virginio io rinnovi,
Per serbarla pudica,
L’esempio in lei della tragedia antica?
Ah! tu solo potresti
Frangere i nostri ceppi,
Vendicare i tuoi torti. Arbitro sei
Del popolo e dell’armi.
A Roma oppressa.
All’amor tuo tradito
Dovresti una vendetta. Al fin tu sai
Che non si svena al Cielo
Vittima più gradita
D’un empio re.

EZIO
Che dici mai! L’affanno
Vince la tua virtù. Giudice ingiusto
Delle cose è il dolor. Sono i monarchi
Arbitri della terra;
Di loro è il Cielo. Ogni altra via si tenti,
Ma non l’infedeltade.

MASSIMO
abbraccia Ezio
Anima grande,
Al par del tuo valore
Ammiro la tua fé, che più costante
Nelle offese diviene.

fra sè

Cangiar favella e simular conviene.

FULVIA
Ezio così tranquillo
La sua Fulvia abbandona ad altri in braccio?

EZIO
Tu sei pur d’ogni laccio
Disciolta ancora. Io parlerò. Vedrai
Tutto cangiar d’aspetto.

FULVIA
Oh Dio! se parli,
Temo per te.

EZIO
L’imperator fin ora
Dunque non sa ch’io t’amo?

MASSIMO
Il vostro amore
Per tema io gli celai.

EZIO
Questo è l’errore.
Cesare non ha colpa. Al nome mio
Avria cangiato affetto. Egli conosce
Quanto mi deve, e sa ch’opra da saggio
L’irritarmi non è.

FULVIA
Tanto ti fidi?
Ezio, mille timori
Mi turban l’alma. È troppo amante Augusto:
Troppo ardente tu sei. Rifletti, oh Dio!
Pria di parlar. Qualche funesto evento
Mi presagisce il cor. Nacqui infelice,
E sperar non mi lice
Che la sorte per me giammai si cangi.

EZIO
Son vincitor, sai che t’adoro, e piangi?

Pensa a serbarmi, o cara,
I dolci affetti tuoi:
Amami, e lascia poi
Ogni altra cura a me.
Tu mi vuoi dir col pianto
Che resti in abbandono:
No, così vil non sono, e meco ingrato tanto
No, Cesare non è.

parte

Scena Quarta

FULVIA
È tempo, o genitore,
Che uno sfogo conceda al mio rispetto.
Tu pria d’Ezio all’affetto
Prometti la mia destra; indi m’imponi
Ch’io soffra, ch’io lusinghi
Di Cesare l’amore; e m’assicuri
Che di lui non sarò. Servo al tuo cenno,
Credo alla tua promessa; e, quando spero
D’Ezio stringer la mano,
Ti sento dir che lo sperarlo è vano.

MASSIMO
Io d’ingannarti, o figlia,
Mai non ebbi il pensier. T’accheta. Al fine,
Non è il peggior de’ mali
Il talamo d’Augusto.

FULVIA
E soffrirai
Ch’abbia sposa la figlia
Chi della tua consorte
Insultò l’onestà? Così ti scordi
Le offese dell’onor? Così t’abbagli
Del trono allo splendor?

MASSIMO
Vieni al mio seno,
Degna parte di me. Quell’odio illustre
Merita ch’io ti scopra
Ciò che dovrei celar. Sappi che ad arte
Dell’onor mio dissimulai le offese.
Perde l’odio palese
Il luogo alla vendetta. Ora è vicina:
Eseguirla dobbiam. Sposa al tiranno,
Tu puoi svenarlo: o almeno
Agio puoi darmi a trapassargli il seno.

FULVIA
Che sento! E con qual fronte
Posso a Cesare offrirmi
Coll’idea di tradirlo? Il reo disegno
Mi leggerebbe in faccia. A’ gran delitti
È compagno il timor.
L’alma ripiena
Tutta della sua colpa
Teme se stessa. È qualche volta il reo
Felice sì, non mai sicuro. E poi
Vindice di sua morte
Il popolo saria.

MASSIMO
L’odia ciascuno:
Vano è il timor.

FULVIA
T’inganni: il volgo insano
Quel tiranno talora,
Che vivente aborrisce, estinto adora.

MASSIMO
Tu l’odio mi rammenti, e poi dimostri
Quell’istessa freddezza
Che disapprovi in me!

FULVIA
Signor, perdona
Se libera ti parlo. Un tradimento
Io non consiglio, allora
Che una viltà condanno.

MASSIMO
Io ti credea,
Fulvia, più saggia e men soggetta a questi
Di colpa e di virtù lacci servili,
Utili all’alme vili,
Inutili alle grandi.

FULVIA
Ah! non son questi
Que’ semi di virtù, che in me versasti
Da’ miei primi vagiti infino ad ora.
M’inganni adesso o m’ingannasti allora?

MASSIMO
Ogni diversa etade
Vuol massime diverse.
Altro a’ fanciulli,
Altro agli adulti è d’insegnar permesso.
Allora io t’ingannai.

FULVIA
M’inganni adesso.
Che l’odio della colpa,
Che l’amor di virtù nasce con noi,
Che da’ principii suoi
L’alma ha l’idea di ciò che nuoce o giova,
Mel dicesti; io lo sento;
ognun lo prova.
E, se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
Quando togliermi tenti
L’orror d’un tradimento, orror ne senti.
Ah! se cara io ti sono,
Pensa alla gloria tua, pensa che vai…

MASSIMO
Taci, importuna. Io t’ho sofferta assai.
Non dar consigli, o, consigliar se brami,
Le tue pari consiglia.
Rammenta ch’io son padre e tu sei figlia.

FULVIA
Caro padre, a me non dei
Rammentar che padre sei:
Io lo so; ma in questi accenti
Non ritrovo il genitor.
Non son io chi ti consiglia:
È il rispetto d’un regnante,
È l’affetto d’una figlia,
È il rimorso del tuo cor.

parte

Scena Quinta

MASSIMO
Che sventura è la mia! Così ripiena
Di malvagi è la terra; e, quando poi
Un malvagio vogl’io, son tutti eroi.
Un oltraggiato amore
D’Ezio gli sdegni ad irritar non basta.
La figlia mi contrasta… Eh, di riguardi
Tempo non è. Precipitare omai
Il colpo converrà: troppo parlai.
Pria che sorga l’aurora,
Mora Cesare, mora. Emilio il braccio
Mi presterà. Che può avvenirne? O cade
Valentiniano estinto, e pago io sono;
O resta in vita, ed io farò che sembri
Ezio il fellon.
Facile impresa. Augusto
Invido alla sua gloria,
Rivale all’amor suo, senz’opra mia
Il reo lo crederà. S’altro succede,
Io saprò dagli eventi.
Prender consiglio. Intanto
Il commettersi al caso
Nell’estremo periglio
È il consiglio miglior d’ogni consiglio.

Il nocchier, che si figura
Ogni scoglio, ogni tempesta,
Non si lagni se poi resta
Un mendico pescator.
Darsi in braccio ancor conviene
Qualche volta alla Fortuna;
Ché sovente in ciò che avviene
La Fortuna ha parte ancor.

parte

Scena Sesta

Camere imperiali istoriate di pitture

ONORIA
Del vincitor ti chiedo,
Non delle sue vittorie: esse abbastanza
Note mi son. Con qual sembiante accolse
L’applauso popolar? Serbava in volto
La guerriera fierezza? Il suo trionfo
Gli accrebbe fasto, o mansueto il rese?
Questo narrami, o Varo, e non le imprese.

VARO
Onoria, a me perdona
Se degli acquisti suoi, più che di lui,
La germana d’Augusto
Curiosa io credei. Sembrano queste
Sì minute richieste
D’amante più che di sovrana.

ONORIA
È troppa
Questa del nostro sesso
Misera servitù. Due volte appena
S’ode da’ labbri nostri
Un nome replicar, che siamo amanti.
Parlano tanti e tanti
Del suo valor, delle sue gesta, e vanno
D’Ezio incontro al ritorno:
Onoria sola
Nel soggiorno è rimasta,
Non v’accorse, nol vide; e pur non basta.

VARO
Un soverchio ritegno
Anche d’amore è segno.

ONORIA
Alla tua fede,
Al tuo lungo servir tollero, o Varo,
Di parlarmi così. Ma la distanza,
Ch’è dal suo grado al mio, teco dovrebbe
Difendermi abbastanza.

VARO
Ognuno ammira
D’Ezio il valor: Roma l’adora: il mondo
Pieno è del nome suo; fino i nemici
Ne parlan con rispetto:
Ingiustizia saria negargli affetto.

ONORIA
Giacché tanto ti mostri
Ad Ezio amico, il suo poter non devi
Esagerar così. Cesare è troppo
D’indole sospettosa.
Vantandolo al germano, uffizio grato
All’amico non rendi.
Chi sa? Potrebbe un dì…
Varo, m’intendi.

VARO
Io, che son d’Ezio amico,
Più cauto parlerò; ma tu, se l’ami,
Mostrati, o principessa,
Meno ingegnosa in tormentar te stessa.

Se un bell’ardire
Può innamorarti,
Perché arrossire,
Perché sdegnarti
Di quello strale
Che ti piagò?
Chi si fe’ chiaro
Per tante imprese,
Già grande al paro
Di te si rese;
Già della sorte
Si vendicò.

parte

Scena Settima

ONORIA
Importuna grandezza,
Tiranna degli affetti, e perché mai
Ci neghi, ci contrasti
La libertà d’un ineguale amore,
Se a difender non basti il nostro core?

Quanto mai felici siete,
Innocenti pastorelle,
Che in amor non conoscete
Altra legge che l’amor!
Ancor io sarei felice
Se potessi all’idol mio
Palesar, come a voi lice,
Il desio di questo cor.

parte

Scena Ottava

VALENTINIANO
ad una comparsa che, ricevuto l’ordine, parte
Ezio sappia ch’io bramo
Seco parlar; che qui l’attendo.

a Massimo

Amico,
Comincia ad adombrarmi
La gloria di costui. Ciascun mi parla
Delle conquiste sue: Roma lo chiama
Il suo liberatore: egli se stesso
Troppo conosce. Assicurarmi io deggio
Della sua fedeltà. Voglio d’Onoria
Al talamo innalzarlo, acciò che sia
Suo premio il nodo e sicurezza mia.

MASSIMO
Veramente per lui giunge all’eccesso
L’idolatria del volgo. Omai si scorda
Quasi del suo sovrano,
E un suo cenno potria…
Basta: credo che sia
Ezio fedele, e il dubitarne è vano:
Se però tal non fosse, a me parrebbe
Mal sicuro riparo
Tanto innalzarlo.

VALENTINIANO
Un sì gran dono ammorza
L’ambizion d’un’alma.

MASSIMO
Anzi l’accende.
Quando è vasto l’incendio, è l’onda istessa
Alimento alla fiamma.

VALENTINIANO
E come io spero
Sicurezza miglior? Vuoi ch’io m’impegni
Su l’orme de’ tiranni, e ch’io divenga
All’odio universale oggetto e segno?

MASSIMO
La prima arte del regno
È il soffrir l’odio altrui. Giova al regnante
Più l’odio che l’amor.
Con chi l’offende
Ha più ragion d’esercitar l’impero.

VALENTINIANO
Massimo, non è vero.
Chi fa troppo temersi
Teme l’altrui timor. Tutti gli estremi
Confinano fra loro. Un dì potrebbe
Il volgo contumace
Per soverchio timor rendersi audace.

MASSIMO
Signor, meglio d’ogni altro
Sai l’arte di regnare. Hanno i monarchi
Un lume ignoto a noi.
Parlai fin ora
Per zelo sol del tuo riposo, e volli
Rammentar che si deve
Ad un periglio opporsi infin che è lieve.

Se povero il ruscello
Mormora lento e basso,
Un ramoscello, un sasso
Quasi arrestar lo fa.
Ma se alle sponde poi
Gonfio d’umor sovrasta,
Argine oppor non basta,
E co’ ripari suoi
Torbido al mar sen va.

parte

Scena Nona

VALENTINIANO
Del Ciel felice dono
Sembra il regno a chi sta lunge dal trono;
Ma sembra il trono istesso
Dono infelice a chi gli sta d’appresso.

EZIO
Eccomi al cenno tuo.

VALENTINIANO
Duce, un momento
Non posso tollerar d’esserti ingrato.
Il Tebro vendicato,
La mia grandezza, il mio riposo è tutto
Del senno tuo, del tuo valore è frutto.
Se prodigo ti sono
Anche del soglio mio, rendo e non dono:
Onde, in tanta ricchezza, allor che bramo
Ricompensare un vincitore amico,
Trovo (chi ‘l crederia?)
ch’io son mendico.

EZIO
Signor, quando fra l’armi
A pro di Roma, a pro di te sudai,
Nell’opra istessa io la mercé trovai.
Che mi resta a bramar? L’amor d’Augusto
Quando ottener poss’io,
Basta questo al mio cor.

VALENTINIANO
Non basta al mio.
Vuo’ che il mondo conosca
Che, se premiarti appieno
Cesare non poté, tentollo almeno.
Ezio, il cesareo sangue
S’unisca al tuo. D’affetto
Darti pegno maggior non posso mai.
Sposo d’Onoria al nuovo dì sarai.

EZIO
fra sè
Che ascolto!

VALENTINIANO
Non rispondi?

EZIO
Onor sì grande
Mi sorprende a ragion. D’Onoria il grado
Chiede un re, chiede un trono:
Ed io regni non ho, suddito io sono.

VALENTINIANO
Ma un suddito tuo pari
È maggior d’ogni re. Se non possiedi,
Tu doni i regni; e il possederli è caso,
Il donarli è virtù.

EZIO
La tua germana,
Signor, deve alla terra
Progenie di monarchi; e meco unita
Vassalli produrrà. Sai che con questi
Ineguali imenei
Ella a me scende,
io non m’innalzo a lei.

VALENTINIANO
Il mondo e la germana
Nell’illustre imeneo punto non perde:
E, se perdesse ancor, quando all’imprese
D’un eroe corrispondo,
Non può lagnarsi e la germana e il mondo.

EZIO
No, consentir non deggio
Che comparisca Augusto,
Per esser grato ad uno, a tanti ingiusto.

VALENTINIANO
Duce, fra noi si parli
Con franchezza una volta. Il tuo rispetto
È un pretesto al rifiuto.
Al fin che brami?
Forse è picciolo il dono?
o vuoi per sempre
Cesare debitor? Superbo al paro
Di chi troppo richiede
È colui che ricusa ogni mercede.

EZIO
E ben, la tua franchezza
Sia d’esempio alla mia. Signor, tu credi
Premiarmi, e mi punisci.

VALENTINIANO
Io non sapea
Che a te fosse castigo
Una sposa germana al tuo regnante.

EZIO
Non è gran premio a chi d’un’altra è amante.

VALENTINIANO
Dov’è questa beltà che tanto indietro
Lascia il merto d’Onoria? È a me soggetta?
Onora i regni miei? Stringer vogl’io
Queste illustri catene.
Spiegami il nome suo.

EZIO
Fulvia è il mio bene.

VALENTINIANO
Fulvia!

EZIO
Appunto.

VALENTINIANO
Si turba, fra sè
Oh sorte!

forte

Ed ella, sa l’amor tuo?

EZIO
Nol credo.

fra sè

Contro lei non s’irriti.

VALENTINIANO
Il suo consenso
Prima ottener procura:
Vedi se tel contrasta.

EZIO
Quello sarà mia cura: il tuo mi basta.

VALENTINIANO
Ma potrebbe altro amante
Ragione aver sopra gli affetti suoi.

EZIO
Dubitarne non puoi. Dov’è chi ardisca
Involar temerario una mercede
Alla man che di Roma il giogo scosse?
Costui non veggo.

VALENTINIANO
E se costui vi fosse?

EZIO
Vedria ch’Ezio difende
Gli affetti suoi, come gl’imperi altrui:
Temer dovrebbe…

VALENTINIANO
E se foss’io costui?

EZIO
Saria più grande il dono,
Se costasse uno sforzo
al cor d’Augusto.

VALENTINIANO
Ma non chiede un vassallo al suo sovrano
Uno sforzo in mercede.

EZIO
Ma Cesare è il sovrano: Ezio lo chiede.
Ezio che fin ad ora
Senza premio servì: Cesare, a cui
È noto il suo dover, che i suoi riposi
Sa che gode per me, che al voler mio,
Quando il soglio abbandona,
Sa che rende e non dona,
e che un momento
Non prova fortunato
Per tema sol di comparirmi ingrato.

VALENTINIANO
fra sè
Temerario!

Ad Ezio

Credea,
Nel rammentare io stesso i merti tuoi,
Di scemartene il peso.

EZIO
Io li rammento
Quando in premio pretendo…

VALENTINIANO
Non più: dicesti assai;
tutto comprendo.

So chi t’accese:
Basta per ora.
Cesare intese:
Risolverà
Ma tu procura
D’esser più saggio.
Fra l’armi e l’ire
Giova il coraggio:
Pompa d’ardire
Qui non si fa.

parte

Scena Decima

EZIO
Vedrem se ardisce ancora
D’opporsi all’amor mio.

FULVIA
Ti leggo in volto,
Ezio, l’ire del cor. Forse ad Augusto
Ragionasti di me?

EZIO
Sì, ma celai
A lui che m’ami; onde temer non dei.

FULVIA
Che disse alla richiesta e che rispose?

EZIO
Non cedé, non s’oppose:
Si turbò; me n’avvidi a qualche segno;
Ma non osò di palesar lo sdegno.

FULVIA
Questo è il peggior presagio. A vendicarsi
Cauto le vie disegna
Chi ha ragion di sdegnarsi e non si sdegna.

EZIO
Troppo timida sei.

Scena Undicesima

ONORIA
Ezio, gli obblighi miei
Sono immensi con te.
Volle il germano
Avvilir la mia mano
Sino alla tua; ma tu però, più giusto,
D’esserne indegno hai persuaso Augusto.

EZIO
No, l’obbligo d’Onoria
Questo non è. L’obbligo grande è quello
Ch’io fui cagion, nel conservarle il soglio,
Ch’or mi possa parlar con quest’orgoglio.

ONORIA
È ver, ti deggio assai: perciò mi spiace
Che ad onta mia mi rendano le stelle
Al tuo amore infelice
Di funeste novelle apportatrice.

a Fulvia

Fulvia, ti vuol sua sposa
Cesare al nuovo dì.

FULVIA
Come!

EZIO
Che sento!

ONORIA
Di recartene il cenno
Egli stesso or m’impose. Ezio, dovresti
Consolartene al fin: veder soggetto
Tutto il mondo al suo ben pur è diletto.

EZIO
Ah, questo è troppo! A troppo gran cimento
D’Ezio la fedeltà Cesare espone.
Qual dritto, qual ragione
Ha su gli affetti miei? Fulvia rapirmi?
Disprezzarmi così? Forse pretende
Ch’io lo sopporti? o pure
Vuol che Roma si faccia
Di tragedie per lui scena funesta?

ONORIA
Ezio minaccia; e la sua fede è questa?

EZIO
Se fedele mi brama il regnante,
Non offenda quest’anima amante
Nella parte più viva del cor.
Non si lagni se in tanta sventura
Un vassallo non serba misura,
Se il rispetto diventa furor.

parte

Scena Dodicesima

FULVIA
A Cesare nascondi,
Onoria, i suoi trasporti. Ezio è fedele:
Parla così da disperato amante.

ONORIA
Mostri, Fulvia, al sembiante
Troppa pietà per lui, troppo timore.
Fosse mai la pietà segno d’amore?

FULVIA
Principessa, m’offendi. Assai conosco
A chi deggio l’affetto.

ONORIA
Non ti sdegnar così: questo è un sospetto.

FULVIA
Se prestar si dovesse
Tanta fede ai sospetti, Onoria ancora
Dubitar ne faria. Ben da’ tuoi sdegni,
Come soffri un rifiuto, anch’io m’avvedo:
Dovrei crederti amante, e pur nol credo.

ONORIA
Anch’io, quando m’oltraggi
Con un sospetto al fasto mio nemico,
Dovrei dirti «arrogante», e pur nol dico.

Ancor non premi il soglio,
E già nel tuo sembiante
Sollecito l’orgoglio
Comincia a comparir.
Così tu mi rammenti
Che i fortunati eventi
Son più d’ogni sventura
Difficili a soffrir.

parte

Scena Tredicesima

FULVIA
Via, per mio danno aduna,
O barbara Fortuna,
Sempre nuovi disastri. Onoria irrita;
Rendi Augusto geloso, Ezio infelice;
Toglimi il padre ancor: toglier giammai
L’amor non mi potrai; ché a tuo dispetto
Sarà per questo core
Trionfo di costanza il tuo rigore.

Fin che un zeffiro soave
Tien del mar l’ira placata,
Ogni nave è fortunata
È felice ogni nocchier.
È ben prova di coraggio
Incontrar l’onde funeste,
Navigar fra le tempeste,
E non perdere il sentier.
最終更新:2022年09月23日 07:43