ATTO TERZO


Scena Prima

(Si cangia la scena in un giardino d'Ecalia, e Venere caladal cielo a terra, in una nuvola, che sparisce. Venere, Ercole)

▼VENERE▲
Sol s'inarcan gli emisferi per stupor
che trovar l'inferno io speri
più cortese oggi, ch'Amor,
ma per me fin dalla cuna
fu geloso ei del suo imper,
e vi soffre di fortuna
il tirannico voler,
che timor non gli arreca,
compagnia nel regnar pur che sia cieca.

▼ERCOLE▲
E per me cangi o déale delizie del ciel
con questo suoloed'or perché non manda
la palude Lerneàe
la selva Nemeànov'idre,
altri leoni afar qui meco
gloriosi contrasti,
onde a te formi
o déa grati olocausti.

▼VENERE▲
Pur ch'io giunga a cangiar nel crudo seno
d'Iole il core, e te lo renda amante
ne trarrò tal piacere,
che sia d'ogni opra mia premio bastante,
mira quest'è la verga onde fa Circe
magiche maraviglie;
al di cui moto ubbidienti ancelle
per patto inalterabile son tutte
de' lidi Acherontei l'anime felle
or in virtù di sì potente stelo
dove tocco la terra
nascerà seggio erboso in cui riposte,
da spiriti lascivi a ciò costretti
le mandragore oscene
di pallido color la Lidia pietra
e d'amorose rondinelle i cori
faran ch'Ioleallor, ch'in lui s'affida
cangi per te il suo sdegno
in dolci amori.

▼ERCOLE▲
Diva ad opre sì rare
insolito tremor tutto mi scuote,
e poi ch'esser non puote
timor (da me non conosciuto ancora)
forz'èche sia per inspirar superno;
di futuro gioir presagio interno.
Ma pur nel pensier mio sceman di pregio
quelli, ch'a me prometti sospirati diletti,
qual'or lasso m'avveggio
ch'a far miei dì giocondi
tratte non sian tal gioie
dal mar d'amor, ma da gli stigij fondi.

▼VENERE▲
Odi questa canzon
pur che tu goda
ch'importa a te?
Che sia per froda
o per mercé?
Pur che tu goda
ch'importa a te?
Ch'altro è l'amare?
Ch'un guerreggiare,
ove in trionfo egual lieti sen vanno
il valor', e l'inganno;
infelice non sai?
Che nel gran regno del mio figlio arciero
non v'è (tolto il penar) nulla di vero.
Prendi il crin, che fortuna
per mia man t'offre in dono.
Torbido rivo ancora
spegne sete infinita,
e per languida inedia un che si mora
non sceglie i cibi a sostenersi in vita:
ma mentre a te giusta ragion m'invola
se d'altro uopo ti sia
Mercurio invierò, che ratto vola.

▼VENERE, ERCOLE▲
E perché Amor non fa,
ch'all'amorosa schiera
sol delle gioie sue sia dispensiera
o ragione, o pietà?
E perché crudeltà
perché il rigor,
in guardia ogn'or le avrà?
Dunque per involarle ogn'arte ancor
lecita altrui sarà.
D'un ardente desio giungerà ‘l segno
sì, sì, gioco è d'ingegno.

Scena Seconda

(Ercole, Paggio)

▼ERCOLE▲
Amor contar ben puoi
fra tuoi non minor vanti
che dell'ardir, che torre a me non seppe
co' latrati di Cerbero, e orrendi
strepiti suoi lo spaventoso abisso;
tu disarmato m'hai, sì ch'io, che colsi
ad onta del terribile custode,
con intrepida man l'Esperie frutta,
quasi di sostenere or non ardisco
l'avvicinar del bel per cui languisco.
O quale instillano
in arso petto
rai, che sfavillano
di gran beltà,
umil rispetto,bassa umiltà:
il ciel ben sa
a sì suprema
adorabil maestà,
s'ei pur non trema?

▼PAGGIO▲
Sarà com'hai disposto
Iolequi ben tosto.

▼ERCOLE▲
E dove la trovasti?

▼PAGGIO▲
Nel cortil regio a favellar d'amore.

▼ERCOLE▲
A favellar d'amor? con chi? deh dillo,
dell'amor mio?

▼PAGGIO▲
Dell'amor suo con Hyllo.

▼ERCOLE▲
Come? Dunque il mio figlio
mio rivale divenne?
A tal temerità sarebbe ei giunto?
Tu non hai ben compreso
semplicetto garzone.

▼PAGGIO▲
Eccoli appunto.

Scena Terza

(Ercole, Iole, Hyllo, Coro di Damigelle, e Paggio)

▼ERCOLE▲
Bella Iole, e quando mai
sentirai
di me pietà?
Chi la chiede al tuo rigore
ha valore
per domare ogn'impietà
ma non fia, che teco impieghi
se non prieghi
e mesti lai;
bell'Iole, e quando mai?

▼IOLE▲
Quando il mio cor capace
fosse d'un lieve amor per chi m'uccise
il genitor diletto
aver per me dovresti
orrore, e non affetto.

▼ERCOLE▲
Ah bella Iole
a sì gran crine, e di sì gran castigo
degno, qual per me fora
l'impossibilità dell'amor tuo:
imputar mi vorrai
una prova fatale,
e un impulso senza freno, oh dio,
dell'infinito ardor, dell'amor mio?
Quand'il tonante istesso
negarmi con Eutyro,
avesse ardito un ben sì desiato,
e a me promesso,
come già contro il sole,
e ‘l dio triforme
stato non fora contra lui men parco
di strali avvelenati il mio grand'arco.

▼IOLE▲
Io sola fui cagion,
che il re mio padre
rompesse a te la data fede.

▼ERCOLE▲
Ah come
a ciò tu l'inducesti?
Dunque tu l'uccidesti.
Che d'un mal, che si feo,
chi la causa ne diè, quegli n'è reo.
Ma pon bella in oblio
sì funeste memorie, e sì noiose,
e qui meco t'affidi,
poiché depost'anch'io
l'innata mia ferocia, anzi cangiata
in conocchia la clava
ravisar ti farò, che quale ogn'altra
tua più devota ancella
non mai prenderò a vile
di renderti ogni ossequio il più servile.

(Iole si siede sulla poltrona infestata ed Hercules continua il suo discorso parlando al titano Atlas. Iole inizia a sentire gli effetti dell'incantesimo)

qua gira gli occhi Atlante
e per somma beltàmira quel,
ch'oggi faErcole amante:
ma non ne rider già
che se tale è il voler
del pargoletto arcier.

Sol per voler d'Amore,
chi in ciel Etho frenò
armenti ancor guidò
nume, e pastore:
e non ne riser no
gl'altri déi, ch'il mirar,
che fan ben ch'in amar:
tutte son opre gloriose, e belle
tanto il filar, che sostener le stelle.

▼IOLE▲
Ma qual? ma come io sento
spuntare entro il mio petto
per te improvviso, e involontario affetto
onde forz'è ch'io t'ami
e ch'amor mio ti chiami.

▼HYLLO▲
Ohimè, ch'ascolto!
E non sogno? e son desto?
e non già stolto?
Così cangiasi Iole?
Fragil feminea fede;
ben merta i tradimenti un, che ti crede.

▼ERCOLE▲
Hyllo, di che ti offendi?
Che senso ha tal linguaggio?
(Non mal l'intese il Paggio)
ami tu dunque Iole?

▼HYLLO▲
Io per un'empia
ingrata al padre, al mondo, al ciel spergiura,
che soffrissi nel cuor d'amor l'arsura?
Per una sì mutabile, ch'a un tratto
con subito contento
alla mia genitrice, a Deianira
tecò a far sì gran torto (ohimè) cospira?
Versi pria sul mio capo irato Giove
tutti i fulmini suoi,
e il più negro baratto m'ingoi.

▼IOLE▲
O me infelice, o misera, che fei?
Uccidetemi, oh déi.

▼ERCOLE▲
Fin'ora a te d'Eutyro
ne men di Deianira unqua non calse.
Parti, e ringrazia il ciel; che ben ti valse,
che d'esser mite oggi disposi.

▼HYLLO▲
Adio:
andrò morte a cercar per quelle balze.

Scena Quarta

(Ercole, Iole, Paggio)

▼ERCOLE▲
E tu a che pensi Iole?

▼IOLE▲
All'error mio,
se ben ciò che mia lingua
disse pur dianzi ah no,
non lo diss'io.
E l'alma forsennatta,
nel frenetico errore
altra parte non ebbe
che di gran pentimento alto dolore.

▼ERCOLE▲
Deh non volere, o bella,
far con tai sentimenti
d'Hyllo più grave il fallo,
e le giuste ire mie tanto più ardenti;
di nuovo qui meco t'affidi, e pensa,
pensa meglio al tuo dire,
ch'or con rigide voglie, or con infide,
troppo è tentar di sofferenza Alcide.

▼IOLE▲
(sottoposto ad incantesimo)
Ah chi sì tosto invola
all'attonita mente
l'impression più care? e del mio seno
la più tenera parte
per te di strano affetto
con recidiva d'incostanza imprime?
Chi l'avverso mio cor suolge
ad amarte?
Ah che tra miei pensieri
più non ne trovo alcuno
ch'idolatra non sia de' tuoi desiri,
ah che non spiro più che i tuoi respiri.

▼ERCOLE▲
E pur potranno in breve
dell'instabil tuo spirto
le solite vicende
ricangiar tanto amore
in più crudo rigore.

▼IOLE▲
Ciò non temer, che sono
sì fortemente rannodati, e stretti
i lacci ond'è di nuovo
per te quest'alma avvolta,
che più come scamparne ella non vede,
chiedi qual pegno vuoi della mia fede.

▼ERCOLE▲
Dunque su di tua mano
per fermezza amorosa
quello porgimi sol d'esser mia sposa.

▼IOLE▲
Nol rifiuto, ma lascia,
ch'in segrete preghiere
del genitore all'oltraggiato spirto
per addolcirlo in quel che guisa almeno
prima, ch'affatto a te mi doni in preda,
io licenza ne chieda.

▼ERCOLE▲
Pur che ciò sia sol cerimonia al vento
sì, sì, ne son contento.

Scena Quinta

(Torna ad apparir in aria Giunone nel suo carro col Sonno)

▼GIUNONE▲
Sonno potente nume
fu qui pur opportuno il nostro arrivo;
dunque poiché tu sei
dell'innocenza amico,
e de' misfatti rei cotanto schivo,
che da loro fuggendo
d'inesorabil vol sazi tue piume,
co' più forti legami,
che mai tua fredda suora a te prestasse
impedisci pietoso al par, che giusto
oggi un crime il più nero,
che contro amor la frode unqua tentasse,
e con la verga a cui fu facil prova
le sempre deste lucitutte velare ad Argo
vanno veloce, e in Ercole produci
un più cieco letargo.

▼IOLE▲
E quale inaspettatosonno prodigioso
prevenendo Imeneo lega il mio sposo?

▼GIUNONE▲
Iole, Iole, ah sorgi
sorgi rapida, e fuggi, e t'allontana
dall'incantato seggio, e a me t'appressa
che di ben tosto risanarti e d'uopo
dal magico veleno,
ond'hai l'anima oppressa:
prendi, fiuta quest'erba,
che ne gli orti filliridi raccolsi,
il cui medico odore,
che le malie dilegua,
ti sanerà ad un tratto
dalle tartaree infezioni il core.

▼IOLE▲
O diva, o déa, da quali
orridi precipizi
d'infedeltà, d'iniquità risorgo?
Ohimè! di quali errori
rea, quantunque innocente ora mi scorgo!
Pure il mio primo, e sol gradito fuoco,
ch'in me pareva estinto
mentre il cor mi ralluma,
con usura di fiamme
più che mai mi consuma.
Ma che pro? s'Hyllo intanto
l'unico mio tesoro
senza mia colpa a ragion meco irato,
a ragion da me fugge, e a torto io moro.

▼GIUNONE▲
Ah perché perdi Iole
in superflue querele
tempo sì prezioso, Hyllonon lunge
per mio consiglio in un cespuglio ascoso
tutto guata, e ascolta.
Arma più tostoarma figlia la mano
di questo acuto acciaro,
(ch'abile a penetrare ogni riparo
per me temprò Vulcano)
e mentre imprigionato
da i legami del Sonno i più tenaci
sta quel mostro sì crudo
d'ogni difesa ignudo,
vanne, e vendica ardita
con la morte di lui
le mie offese, e i tuoi danni,
ch'altro scampo non ha d'Hyllo la vita.
Vanne, e poiché spedita al ciel'io torno
ad'ovviare in ciò l'ire di Giove
fa ch'io vi giunga il crin di lauri adorno.

Scena Sesta

(Iole, Hyllo, Ercole che dorme, Paggio)

▼IOLE▲
D'Eutyro anima grande
a questo core, a questo braccio imbelle
tanto furor, tanto vigor compatti
che possa or qui sacrarti,
con insigne vendetta
(universal di cui desio rimbomba)
vittima sì dovuta alla tua tomba.
Prendi o mio genitor dall'arso lido
di Flegetonte, il sangue
di quest'empio tiranno,
che nel tuo nome uccido.

▼HYLLO▲
Ohimè, che fai?Cessa.

▼IOLE▲
Deh lascia.

▼HYLLO▲
Ah cessa.

▼IOLE▲
Lascia se m'ami.

▼HYLLO▲
Ah che del pari io sono
tuo vero amante, e di lui figlio.

▼IOLE▲
Ah senti:
io non l'odio già più come uccisore
del caro padre mio (senti che dico)
che come avverso al comun nostro ardore
onde più che padre egli è nemico.

▼HYLLO▲
Lo placherò, quando non basti il pianto,
con la mia morte.

(Hyllo strappa il pugnale a Iole e lo brandisce con decisione)

▼IOLE▲
E sì poco è gradita
la speme a te d'esser mio sposo (oh dio)
che per essa non pregipunto di più la vita?

Scena Settima

(Mercurio d'un volo risveglia Ercole e parte. Mercurio, Hyllo, Iole, Ercole, Paggio)

▼MERCURIO▲
Svegliati Alcide, e mira.

▼ERCOLE▲
E dove, o bella?
Dove? ah qui pur di nuovo
temerario importuno io ti ritrovo?
Ed a qual fine impugniferro micidial?
per tor la vita
a chi s'ingiustamente a te la diede?
Ah se cotanto eccede
tuo scellerato ardir, giust'è la voglia,
che quel viver ingrato,
ch'a torto a te fu dato
ora a ragione io toglia.

▼IOLE▲
Ohimè, s'amore
nulla in te puote, arresta.

▼HYLLO▲
Ah genitore.

▼ERCOLE▲
E con sì dolce nome ancor mi chiami?

▼HYLLO▲
Non creder già, ch'io più di viver brami
che per mia miglior sorte
non so più desiar altro, che morte,
ma sol di parricida
l'ingiusto infame titolo rifiuto,
e s'ebbi di ciò solo un pensiero
sovra l'anima mia,
qual'or sciolta ella sia,
ogni martir più fiero,
che chiuda Averno in sé, grandini Pluto.

▼IOLE▲
Alcide, ah ch'io fui quella
per vendicar Eutyro,
e per sottrarmi alle tue insidie, io quella,
che sola di trafiggerti tentai.
Quindi è, che s'Hyllouccidi,
com'essend'io sola cagion, ch'ei mora,
di me stessa farò giustizia, e or'ora
morta qui mi vedrai.

Scena Ottava

(Deianira, Licco, Ercole, Iole, Hyllo, Paggio)

▼DEIANIRA▲
Ah che scorgo? il mio figlio
post'è in grave periglio?
Fors'è ben, che io mi scopra.

▼LICCO▲
Il ciel ti guardida cotanta follia,
che quando ancor
(com'è suo stil) per gioco
Ercol l'ammazzi un poco,
tu ne puoi far de gli altri;
ma se n'uccide noi ha molto peggio,
che poi chi ne resusciti, nol veggio.

▼ERCOLE▲
Più di salvarlo tenti
più l'accusi, e tu menti,
ma ch'al tuo crime, o pure
a mie gelose cure
il tuo morir s'ascriva
soffrir più non saprei, no che tu viva.

▼DEIANIRA▲
Ah barbaro di fé, di pietà avaro.
Non basta avermi l'amor tuo ritolto,
ch'ancor toglier mi vuoi pegno sì caro;
fa' pur tua sposa Iole,
abbandonami pure a ogni martoro,
ma per solo ristorolasciami la mia prole.
Innocente che sia,
chi propizio gli fia, se ingiusto è il padre?
E quand'anche sia rea, concedi il vanto
d'impetrarli perdono
d'una misera madre al largo pianto.

▼ERCOLE▲
In mal punto giungesti
e chi qua ti portò?

▼LICCO▲
Non fu già Licco;
chi m'insegna una tana?
Che quand'anche ella fosse,
d'un gran lupo affamato io mi ci ficco.

▼ERCOLE▲
Ambo morrete, e fra tant'altre prove
che fer di me già sì famoso il grido
dicasi ancor, ch'altri duo mostri uccisi
una moglie gelosa, e un figlio infido.

▼DEIANIRA▲
Ah crudo.

▼IOLE▲
Ah senti pria: s'alcuna speme
ch'io pieghi all'amor tuo, restar ti puote,
solo al viver di lui questa s'attiene;
s'ei mor, sia, ch'ogni speme
anco a te perduta, e s'egli vive, spera.

▼LICCO▲
Ora ch'il crederia: quel grand'invitto
domator de' Giganti,
che i diavoli stessi ha trionfato
eccolo tra due femmine intrigato!

▼ERCOLE▲
E s'egli vive spera? ogni possanza
sovra l'anime amanti
ha la speranza.

(a Deianira)

Vanne tu dunque, e torna al patrio nido,

(a Hyllo)

e tu va' prigioniero
nella torre del mar, ch'altro riparo
sicuro aver non può mia gelosia,
e con Ioleintanto io vedrò chiaro
del mio sperar, del viver tuo che fia?

Scena Nona

(Deianira, Hyllo)

▼DEIANIRA▲
Figlio tu prigioniero?

▼HYLLO▲
Madre tu discacciata?

▼DEIANIRA▲
E vive in sen di padre
un cor sì fiero?

▼HYLLO▲
Ed in cor di marito
alma sì ingrata.

▼DEIANIRA▲
Figlio tu prigioniero?

▼HYLLO▲
Madre tu discacciata?

▼DEIANIRA▲
Non fosse a te crudele,
e gli perdonerei l'infedeltà.

▼HYLLO▲
Non fosse a te infedele,
e lieve troverei sua crudeltà.

▼DEIANIRA, HYLLO▲
S'a te pietà non spero
ogni sorte a me sia sempre spietata.

▼DEIANIRA▲
Figlio tu prigioniero?

▼HYLLO▲
Madre tu discacciata?

▼DEIANIRA▲
Figlio…

▼HYLLO▲
Madre…

▼DEIANIRA, HYLLO▲
Ogn'or desti
a me dell'amor tuo segni più espressi,
ah voglia il ciel, che questi
non sian gli ultimi amplessi.

Scena Decima

(Licco, Paggio)

▼LICCO▲
Adio, Paggio.

▼PAGGIO▲
A dio, tutti.

▼LICCO▲
A' rivederci;
che della donna a cui Ercol presume
di far sì facilmente cangiar clima,
non fu mai suo costume
d'obbedir alla prima.

▼PAGGIO▲
Oh che gran cose ho viste! ancor l'orrore
tutto mi raccapriccia.

▼LICCO▲
Ed è sol mastro Amore,
che si fatti bitumi oggi impiastriccia,
ma contro un sì pestifero bigatto
senti gentil garzone
impara una canzone.

▼LICCO, PAGGIO▲
Amor, chi ha senno in sé,
va già d'accordo,
ch'il più contento è in te
chi è il più balordo.
Ogni dolce, che puoi dare
e d'assenzio altro sciroppo
e le tue gioie più rare
o son false, o costan troppo:
e così in simil frode
lieto è più chi men vede, e crede, e gode.

(La sedia incantata sparisce, e gli Spiriti ch'erano costretti in essa, entrano nelle statue del giardino, e animandole formano la 4ª danza per fine dell'atto terzo)
ATTO TERZO


Scena Prima

Si cangia la scena in un giardino d'Ecalia, e Venere caladal cielo a terra, in una nuvola, che sparisce. Venere, Ercole

VENERE
Sol s'inarcan gli emisferi per stupor
che trovar l'inferno io speri
più cortese oggi, ch'Amor,
ma per me fin dalla cuna
fu geloso ei del suo imper,
e vi soffre di fortuna
il tirannico voler,
che timor non gli arreca,
compagnia nel regnar pur che sia cieca.

ERCOLE
E per me cangi o déale delizie del ciel
con questo suoloed'or perché non manda
la palude Lerneàe
la selva Nemeànov'idre,
altri leoni afar qui meco
gloriosi contrasti,
onde a te formi
o déa grati olocausti.

VENERE
Pur ch'io giunga a cangiar nel crudo seno
d'Iole il core, e te lo renda amante
ne trarrò tal piacere,
che sia d'ogni opra mia premio bastante,
mira quest'è la verga onde fa Circe
magiche maraviglie;
al di cui moto ubbidienti ancelle
per patto inalterabile son tutte
de' lidi Acherontei l'anime felle
or in virtù di sì potente stelo
dove tocco la terra
nascerà seggio erboso in cui riposte,
da spiriti lascivi a ciò costretti
le mandragore oscene
di pallido color la Lidia pietra
e d'amorose rondinelle i cori
faran ch'Ioleallor, ch'in lui s'affida
cangi per te il suo sdegno
in dolci amori.

ERCOLE
Diva ad opre sì rare
insolito tremor tutto mi scuote,
e poi ch'esser non puote
timor (da me non conosciuto ancora)
forz'èche sia per inspirar superno;
di futuro gioir presagio interno.
Ma pur nel pensier mio sceman di pregio
quelli, ch'a me prometti sospirati diletti,
qual'or lasso m'avveggio
ch'a far miei dì giocondi
tratte non sian tal gioie
dal mar d'amor, ma da gli stigij fondi.

VENERE
Odi questa canzon
pur che tu goda
ch'importa a te?
Che sia per froda
o per mercé?
Pur che tu goda
ch'importa a te?
Ch'altro è l'amare?
Ch'un guerreggiare,
ove in trionfo egual lieti sen vanno
il valor', e l'inganno;
infelice non sai?
Che nel gran regno del mio figlio arciero
non v'è (tolto il penar) nulla di vero.
Prendi il crin, che fortuna
per mia man t'offre in dono.
Torbido rivo ancora
spegne sete infinita,
e per languida inedia un che si mora
non sceglie i cibi a sostenersi in vita:
ma mentre a te giusta ragion m'invola
se d'altro uopo ti sia
Mercurio invierò, che ratto vola.

VENERE, ERCOLE
E perché Amor non fa,
ch'all'amorosa schiera
sol delle gioie sue sia dispensiera
o ragione, o pietà?
E perché crudeltà
perché il rigor,
in guardia ogn'or le avrà?
Dunque per involarle ogn'arte ancor
lecita altrui sarà.
D'un ardente desio giungerà ‘l segno
sì, sì, gioco è d'ingegno.

Scena Seconda

Ercole, Paggio

ERCOLE
Amor contar ben puoi
fra tuoi non minor vanti
che dell'ardir, che torre a me non seppe
co' latrati di Cerbero, e orrendi
strepiti suoi lo spaventoso abisso;
tu disarmato m'hai, sì ch'io, che colsi
ad onta del terribile custode,
con intrepida man l'Esperie frutta,
quasi di sostenere or non ardisco
l'avvicinar del bel per cui languisco.
O quale instillano
in arso petto
rai, che sfavillano
di gran beltà,
umil rispetto,bassa umiltà:
il ciel ben sa
a sì suprema
adorabil maestà,
s'ei pur non trema?

PAGGIO
Sarà com'hai disposto
Iolequi ben tosto.

ERCOLE
E dove la trovasti?

PAGGIO
Nel cortil regio a favellar d'amore.

ERCOLE
A favellar d'amor? con chi? deh dillo,
dell'amor mio?

PAGGIO
Dell'amor suo con Hyllo.

ERCOLE
Come? Dunque il mio figlio
mio rivale divenne?
A tal temerità sarebbe ei giunto?
Tu non hai ben compreso
semplicetto garzone.

PAGGIO
Eccoli appunto.

Scena Terza

Ercole, Iole, Hyllo, Coro di Damigelle, e Paggio

ERCOLE
Bella Iole, e quando mai
sentirai
di me pietà?
Chi la chiede al tuo rigore
ha valore
per domare ogn'impietà
ma non fia, che teco impieghi
se non prieghi
e mesti lai;
bell'Iole, e quando mai?

IOLE
Quando il mio cor capace
fosse d'un lieve amor per chi m'uccise
il genitor diletto
aver per me dovresti
orrore, e non affetto.

ERCOLE
Ah bella Iole
a sì gran crine, e di sì gran castigo
degno, qual per me fora
l'impossibilità dell'amor tuo:
imputar mi vorrai
una prova fatale,
e un impulso senza freno, oh dio,
dell'infinito ardor, dell'amor mio?
Quand'il tonante istesso
negarmi con Eutyro,
avesse ardito un ben sì desiato,
e a me promesso,
come già contro il sole,
e ‘l dio triforme
stato non fora contra lui men parco
di strali avvelenati il mio grand'arco.

IOLE
Io sola fui cagion,
che il re mio padre
rompesse a te la data fede.

ERCOLE
Ah come
a ciò tu l'inducesti?
Dunque tu l'uccidesti.
Che d'un mal, che si feo,
chi la causa ne diè, quegli n'è reo.
Ma pon bella in oblio
sì funeste memorie, e sì noiose,
e qui meco t'affidi,
poiché depost'anch'io
l'innata mia ferocia, anzi cangiata
in conocchia la clava
ravisar ti farò, che quale ogn'altra
tua più devota ancella
non mai prenderò a vile
di renderti ogni ossequio il più servile.

Iole si siede sulla poltrona infestata ed Hercules continua il suo discorso parlando al titano Atlas. Iole inizia a sentire gli effetti dell'incantesimo

qua gira gli occhi Atlante
e per somma beltàmira quel,
ch'oggi faErcole amante:
ma non ne rider già
che se tale è il voler
del pargoletto arcier.

Sol per voler d'Amore,
chi in ciel Etho frenò
armenti ancor guidò
nume, e pastore:
e non ne riser no
gl'altri déi, ch'il mirar,
che fan ben ch'in amar:
tutte son opre gloriose, e belle
tanto il filar, che sostener le stelle.

IOLE
Ma qual? ma come io sento
spuntare entro il mio petto
per te improvviso, e involontario affetto
onde forz'è ch'io t'ami
e ch'amor mio ti chiami.

HYLLO
Ohimè, ch'ascolto!
E non sogno? e son desto?
e non già stolto?
Così cangiasi Iole?
Fragil feminea fede;
ben merta i tradimenti un, che ti crede.

ERCOLE
Hyllo, di che ti offendi?
Che senso ha tal linguaggio?
(Non mal l'intese il Paggio)
ami tu dunque Iole?

HYLLO
Io per un'empia
ingrata al padre, al mondo, al ciel spergiura,
che soffrissi nel cuor d'amor l'arsura?
Per una sì mutabile, ch'a un tratto
con subito contento
alla mia genitrice, a Deianira
tecò a far sì gran torto (ohimè) cospira?
Versi pria sul mio capo irato Giove
tutti i fulmini suoi,
e il più negro baratto m'ingoi.

IOLE
O me infelice, o misera, che fei?
Uccidetemi, oh déi.

ERCOLE
Fin'ora a te d'Eutyro
ne men di Deianira unqua non calse.
Parti, e ringrazia il ciel; che ben ti valse,
che d'esser mite oggi disposi.

HYLLO
Adio:
andrò morte a cercar per quelle balze.

Scena Quarta

Ercole, Iole, Paggio

ERCOLE
E tu a che pensi Iole?

IOLE
All'error mio,
se ben ciò che mia lingua
disse pur dianzi ah no,
non lo diss'io.
E l'alma forsennatta,
nel frenetico errore
altra parte non ebbe
che di gran pentimento alto dolore.

ERCOLE
Deh non volere, o bella,
far con tai sentimenti
d'Hyllo più grave il fallo,
e le giuste ire mie tanto più ardenti;
di nuovo qui meco t'affidi, e pensa,
pensa meglio al tuo dire,
ch'or con rigide voglie, or con infide,
troppo è tentar di sofferenza Alcide.

IOLE
sottoposto ad incantesimo
Ah chi sì tosto invola
all'attonita mente
l'impression più care? e del mio seno
la più tenera parte
per te di strano affetto
con recidiva d'incostanza imprime?
Chi l'avverso mio cor suolge
ad amarte?
Ah che tra miei pensieri
più non ne trovo alcuno
ch'idolatra non sia de' tuoi desiri,
ah che non spiro più che i tuoi respiri.

ERCOLE
E pur potranno in breve
dell'instabil tuo spirto
le solite vicende
ricangiar tanto amore
in più crudo rigore.

IOLE
Ciò non temer, che sono
sì fortemente rannodati, e stretti
i lacci ond'è di nuovo
per te quest'alma avvolta,
che più come scamparne ella non vede,
chiedi qual pegno vuoi della mia fede.

ERCOLE
Dunque su di tua mano
per fermezza amorosa
quello porgimi sol d'esser mia sposa.

IOLE
Nol rifiuto, ma lascia,
ch'in segrete preghiere
del genitore all'oltraggiato spirto
per addolcirlo in quel che guisa almeno
prima, ch'affatto a te mi doni in preda,
io licenza ne chieda.

ERCOLE
Pur che ciò sia sol cerimonia al vento
sì, sì, ne son contento.

Scena Quinta

Torna ad apparir in aria Giunone nel suo carro col Sonno

GIUNONE
Sonno potente nume
fu qui pur opportuno il nostro arrivo;
dunque poiché tu sei
dell'innocenza amico,
e de' misfatti rei cotanto schivo,
che da loro fuggendo
d'inesorabil vol sazi tue piume,
co' più forti legami,
che mai tua fredda suora a te prestasse
impedisci pietoso al par, che giusto
oggi un crime il più nero,
che contro amor la frode unqua tentasse,
e con la verga a cui fu facil prova
le sempre deste lucitutte velare ad Argo
vanno veloce, e in Ercole produci
un più cieco letargo.

IOLE
E quale inaspettatosonno prodigioso
prevenendo Imeneo lega il mio sposo?

GIUNONE
Iole, Iole, ah sorgi
sorgi rapida, e fuggi, e t'allontana
dall'incantato seggio, e a me t'appressa
che di ben tosto risanarti e d'uopo
dal magico veleno,
ond'hai l'anima oppressa:
prendi, fiuta quest'erba,
che ne gli orti filliridi raccolsi,
il cui medico odore,
che le malie dilegua,
ti sanerà ad un tratto
dalle tartaree infezioni il core.

IOLE
O diva, o déa, da quali
orridi precipizi
d'infedeltà, d'iniquità risorgo?
Ohimè! di quali errori
rea, quantunque innocente ora mi scorgo!
Pure il mio primo, e sol gradito fuoco,
ch'in me pareva estinto
mentre il cor mi ralluma,
con usura di fiamme
più che mai mi consuma.
Ma che pro? s'Hyllo intanto
l'unico mio tesoro
senza mia colpa a ragion meco irato,
a ragion da me fugge, e a torto io moro.

GIUNONE
Ah perché perdi Iole
in superflue querele
tempo sì prezioso, Hyllonon lunge
per mio consiglio in un cespuglio ascoso
tutto guata, e ascolta.
Arma più tostoarma figlia la mano
di questo acuto acciaro,
(ch'abile a penetrare ogni riparo
per me temprò Vulcano)
e mentre imprigionato
da i legami del Sonno i più tenaci
sta quel mostro sì crudo
d'ogni difesa ignudo,
vanne, e vendica ardita
con la morte di lui
le mie offese, e i tuoi danni,
ch'altro scampo non ha d'Hyllo la vita.
Vanne, e poiché spedita al ciel'io torno
ad'ovviare in ciò l'ire di Giove
fa ch'io vi giunga il crin di lauri adorno.

Scena Sesta

Iole, Hyllo, Ercole che dorme, Paggio

IOLE
D'Eutyro anima grande
a questo core, a questo braccio imbelle
tanto furor, tanto vigor compatti
che possa or qui sacrarti,
con insigne vendetta
(universal di cui desio rimbomba)
vittima sì dovuta alla tua tomba.
Prendi o mio genitor dall'arso lido
di Flegetonte, il sangue
di quest'empio tiranno,
che nel tuo nome uccido.

HYLLO
Ohimè, che fai?Cessa.

IOLE
Deh lascia.

HYLLO
Ah cessa.

IOLE
Lascia se m'ami.

HYLLO
Ah che del pari io sono
tuo vero amante, e di lui figlio.

IOLE
Ah senti:
io non l'odio già più come uccisore
del caro padre mio (senti che dico)
che come avverso al comun nostro ardore
onde più che padre egli è nemico.

HYLLO
Lo placherò, quando non basti il pianto,
con la mia morte.

Hyllo strappa il pugnale a Iole e lo brandisce con decisione

IOLE
E sì poco è gradita
la speme a te d'esser mio sposo (oh dio)
che per essa non pregipunto di più la vita?

Scena Settima

Mercurio d'un volo risveglia Ercole e parte. Mercurio, Hyllo, Iole, Ercole, Paggio

MERCURIO
Svegliati Alcide, e mira.

ERCOLE
E dove, o bella?
Dove? ah qui pur di nuovo
temerario importuno io ti ritrovo?
Ed a qual fine impugniferro micidial?
per tor la vita
a chi s'ingiustamente a te la diede?
Ah se cotanto eccede
tuo scellerato ardir, giust'è la voglia,
che quel viver ingrato,
ch'a torto a te fu dato
ora a ragione io toglia.

IOLE
Ohimè, s'amore
nulla in te puote, arresta.

HYLLO
Ah genitore.

ERCOLE
E con sì dolce nome ancor mi chiami?

HYLLO
Non creder già, ch'io più di viver brami
che per mia miglior sorte
non so più desiar altro, che morte,
ma sol di parricida
l'ingiusto infame titolo rifiuto,
e s'ebbi di ciò solo un pensiero
sovra l'anima mia,
qual'or sciolta ella sia,
ogni martir più fiero,
che chiuda Averno in sé, grandini Pluto.

IOLE
Alcide, ah ch'io fui quella
per vendicar Eutyro,
e per sottrarmi alle tue insidie, io quella,
che sola di trafiggerti tentai.
Quindi è, che s'Hyllouccidi,
com'essend'io sola cagion, ch'ei mora,
di me stessa farò giustizia, e or'ora
morta qui mi vedrai.

Scena Ottava

Deianira, Licco, Ercole, Iole, Hyllo, Paggio

DEIANIRA
Ah che scorgo? il mio figlio
post'è in grave periglio?
Fors'è ben, che io mi scopra.

LICCO
Il ciel ti guardida cotanta follia,
che quando ancor
(com'è suo stil) per gioco
Ercol l'ammazzi un poco,
tu ne puoi far de gli altri;
ma se n'uccide noi ha molto peggio,
che poi chi ne resusciti, nol veggio.

ERCOLE
Più di salvarlo tenti
più l'accusi, e tu menti,
ma ch'al tuo crime, o pure
a mie gelose cure
il tuo morir s'ascriva
soffrir più non saprei, no che tu viva.

DEIANIRA
Ah barbaro di fé, di pietà avaro.
Non basta avermi l'amor tuo ritolto,
ch'ancor toglier mi vuoi pegno sì caro;
fa' pur tua sposa Iole,
abbandonami pure a ogni martoro,
ma per solo ristorolasciami la mia prole.
Innocente che sia,
chi propizio gli fia, se ingiusto è il padre?
E quand'anche sia rea, concedi il vanto
d'impetrarli perdono
d'una misera madre al largo pianto.

ERCOLE
In mal punto giungesti
e chi qua ti portò?

LICCO
Non fu già Licco;
chi m'insegna una tana?
Che quand'anche ella fosse,
d'un gran lupo affamato io mi ci ficco.

ERCOLE
Ambo morrete, e fra tant'altre prove
che fer di me già sì famoso il grido
dicasi ancor, ch'altri duo mostri uccisi
una moglie gelosa, e un figlio infido.

DEIANIRA
Ah crudo.

IOLE
Ah senti pria: s'alcuna speme
ch'io pieghi all'amor tuo, restar ti puote,
solo al viver di lui questa s'attiene;
s'ei mor, sia, ch'ogni speme
anco a te perduta, e s'egli vive, spera.

LICCO
Ora ch'il crederia: quel grand'invitto
domator de' Giganti,
che i diavoli stessi ha trionfato
eccolo tra due femmine intrigato!

ERCOLE
E s'egli vive spera? ogni possanza
sovra l'anime amanti
ha la speranza.

a Deianira

Vanne tu dunque, e torna al patrio nido,

a Hyllo

e tu va' prigioniero
nella torre del mar, ch'altro riparo
sicuro aver non può mia gelosia,
e con Ioleintanto io vedrò chiaro
del mio sperar, del viver tuo che fia?

Scena Nona

Deianira, Hyllo

DEIANIRA
Figlio tu prigioniero?

HYLLO
Madre tu discacciata?

DEIANIRA
E vive in sen di padre
un cor sì fiero?

HYLLO
Ed in cor di marito
alma sì ingrata.

DEIANIRA
Figlio tu prigioniero?

HYLLO
Madre tu discacciata?

DEIANIRA
Non fosse a te crudele,
e gli perdonerei l'infedeltà.

HYLLO
Non fosse a te infedele,
e lieve troverei sua crudeltà.

DEIANIRA, HYLLO
S'a te pietà non spero
ogni sorte a me sia sempre spietata.

DEIANIRA
Figlio tu prigioniero?

HYLLO
Madre tu discacciata?

DEIANIRA
Figlio…

HYLLO
Madre…

DEIANIRA, HYLLO
Ogn'or desti
a me dell'amor tuo segni più espressi,
ah voglia il ciel, che questi
non sian gli ultimi amplessi.

Scena Decima

Licco, Paggio

LICCO
Adio, Paggio.

PAGGIO
A dio, tutti.

LICCO
A' rivederci;
che della donna a cui Ercol presume
di far sì facilmente cangiar clima,
non fu mai suo costume
d'obbedir alla prima.

PAGGIO
Oh che gran cose ho viste! ancor l'orrore
tutto mi raccapriccia.

LICCO
Ed è sol mastro Amore,
che si fatti bitumi oggi impiastriccia,
ma contro un sì pestifero bigatto
senti gentil garzone
impara una canzone.

LICCO, PAGGIO
Amor, chi ha senno in sé,
va già d'accordo,
ch'il più contento è in te
chi è il più balordo.
Ogni dolce, che puoi dare
e d'assenzio altro sciroppo
e le tue gioie più rare
o son false, o costan troppo:
e così in simil frode
lieto è più chi men vede, e crede, e gode.

La sedia incantata sparisce, e gli Spiriti ch'erano costretti in essa, entrano nelle statue del giardino, e animandole formano la 4ª danza per fine dell'atto terzo
最終更新:2021年05月15日 19:17