ATTO SECONDO
Scena Prima
(Le cime del monte Liceo)
▼ENDIMIONE▲
Erme, e solinghe cime,
ch'al cerchio m'accostate
delle luci adorate,
in voi di novo imprime,
contemplator segreto
Endimione l'orme.
Le variate forme
della stella d'argento
lusingando, e baciando,
di chiare notti tra i sereni orrori,
sulla terra, e sui sassi i suoi splendori.
Lucidissima face
di Tessaglia le note
non sturbino i tuoi giri, e la tua pace.
Dagl'atlantici monti
traboccando le rote,
Febo, del carro ardente, omai tramonti.
Il mio lume nascente
illuminando il cielo
più bello a me si mostri,
e risplendente.
Astro mio vago, e caro
a' tuoi raggi di gelo,
nel petto amante
a nutrir fiamme imparo.
Qual sopor repentino
a' dolce oblio m'invita
su quest'erta romita?
Sonno cortese, sonno
s'alle lusinghe tue pronto mi rendo.
Deh fa' tu, che dormendo
amorosi fantasmi
mi felicitin l'anima svegliata.
Baciatrice baciata
mandan in sen la diva mia crudele,
e stringendo i tuoi lacci,
in dolci inganni
fa' che morto in tal guisa
io viva gl'anni.
(Endimion dorme)
Scena Seconda
▼DIANA▲
Candidi corridori,
cervi veloci, al vostro moto,
al corso
sul vertice Liceo
si ponga il morso.
Ascender qui ved'io
il pastorello mio,
e qui solinga in solitario loco
per arder al mio foco,
non per scoprirmi amante
mi son condotta.
Oh Cinzia fortunata,
il gemino Levante,
del tuo sole, che cerchi, ecco che dorme.
Ammirabili forme,
ignota adoratrice
vi potrò pur, felice
vagheggiar, contemplarvi,
senza rossor baciarvi.
Ma che parli de' baci
o casta Delia? Ah taci.
Ohimè, che mi procura amareggiare
il soave pensiero? Io vo' baciare.
Oh aliti odorati,
spiran d'Arabia i fiati
queste labbra di rose,
e aure preziose
m'invia, più, che m'accosto
il cinnamomo, il costo.
▼ENDIMIONE▲
Bella quanto crudele
non fuggirai più no dal tuo fedele.
▼DIANA▲
Sogna, e mi stringe al petto;
deh mai non si svegliasse,
e il mio divin restasse
incatenato sempre al suo diletto.
▼ENDIMIONE▲
Viso eterno ti bacio, e godo,
e sento nel baciarti, mia dèa,
dolce il tormento.
▼DIANA▲
Non posso distaccarmi,
temo ch'egli si desti.
▼ENDIMIONE▲
Che prodigi son questi?
▼DIANA▲
Ohimè, ch'ei s'è svegliato.
▼ENDIMIONE▲
Oh dio, che dormo ancora?
Del sonno supplicato
l'illusioni amabili anco abbraccio?
Tormentoso mio laccio
chi mi ti rende amorosetto, e pio?
Sacrilego son io
che le menti del cielo,
e stringo e tocco,
ma di goder cotanta gloria parmi,
che prima di lasciarle
io vo' dannarmi.
▼DIANA▲
Rallenta questi nodi mio conforto.
▼ENDIMIONE▲
Mio che?
▼DIANA▲
Ardor, mio foco.
▼ENDIMIONE▲
Ohimè m'uccide la dolcezza.
▼DIANA▲
Lasciami mia bellezza,
e già, che amor sagace
nel tuo seno mi pose
paleso la mia face,
ti confesso la piaga.
▼ENDIMIONE▲
Ah diva Artemia, e vaga,
formano le tue fiamme
il rogo alla mia vita,
moro alla tua ferita.
▼DIANA▲
Vivi, vivi, a' nostri amori.
Rasserena la tua pena
raddoppiando i nati ardori.
Vivi, vivi a' nostri amori.
▼ENDIMIONE▲
Moribondo, eccomi sano.
Tristo duolo
ratto a volo
da me fugge, e va lontano.
Moribondo eccomi sano.
▼DIANA▲
Partir devo. Addio rimanti.
▼ENDIMIONE▲
Tu mi lasci? Io riedo a' pianti
▼DIANA▲
Così chiede il mio decoro.
▼ENDIMIONE▲
Torna indietro, o mio martoro.
▼DIANA▲
Breve la lontananza
sarà, rasciuga gl'occhi o mia speranza.
▼ENDIMIONE▲
Quando più ti rivedrò?
▼DIANA▲
Presto, presto mio ben
lieto rimanti, io vo'.
▼ENDIMIONE▲
Teco l'anima vien.
▼DIANA▲
Mio sole.
▼ENDIMIONE▲
Cor mio.
▼DIANA, ENDIMIONE▲
Addio.
Scena Terza
▼IL SATIRINO▲
Alfin la tanto rigida,
quella, che delle vergini
imperatrice, e satrapa
è come l'altre femmine
soggette al senso fragile;
e che sempre s'appigliano
al male, al peggio, al pessimo.
Pane, ch'è un dio sì nobile
costei ripudia, e gettasi
nelle braccia d'un rustico.
Se gl'occhi lo spettacolo
veduto non avessero
mai non avrei credutolo.
Voglio avvisar il languido,
ei vi porrà rimedio.
Chi crede a femmina
nell'acque semina;
e prima svellere
potrà man tenera
antica rovere, che mai commuovere
suo cor, che genera fede mutabile.
Chi crede a femmina
mai sempre instabile
nell'acque semina.
Scena Quarta
(La pianura dell'Erimanto)
▼GIUNONE▲
Dalle gelose mie cure incessanti
lacera, stimolata,
a questo suolo
de' miei pomposi augelli
io piombo il volo,
fatti del mio furor compagni erranti.
Stupri novelli a sussurrare intesi.
Abbandonata la celeste corte,
ignoto qui dimora il mio consorte,
chiuso in stranieri, e indecenti arnesi.
Sempre per ingannar fanciulle belle,
novo Proteo,
si cangia in forme nove,
aspetto un dì, che questo mio gran Giove
mi conduca le drude
in sulle stelle.
Scena Quinta
▼CALISTO▲
Sgorgate anco sgorgate
fontane dolorose,
luci mie lagrimose
quell'umor, che dal cor
ascendendo a voi se 'n vien.
M'è sparito in un balen
il conforto,
restò morto quel piacer, che già gustò
da dèa pia l'alma mia,
sin, che vivo io piangerò.
▼GIUNONE▲
Che lagrime son queste
o bella faretrata?
▼CALISTO▲
Piango mia sorte ingrata.
▼GIUNONE▲
Le tue noie funesti
a me scopri, che posso,
moglie del gran motore,
sanarti ogni dolore.
▼CALISTO▲
Oh reina del cielo
scusa l'irriverente io non conobbi
la tua divinità nel terreo velo,
Cinzia, che seguo, e onoro
mi scaccia dal suo coro.
▼GIUNONE▲
La cagion?
▼CALISTO▲
Mi condusse
in antro dilettoso,
e mi baciò più fiate
come se stato fosse il vago, il sposo.
Le mie labbra baciate
le sue baciavo a gara,
stretta dalle sue braccia.
Or ella nega il bacio, e me discaccia.
▼GIUNONE▲
Tocca la terra appena,
temo d'aver trovata
dell'adultero mio la nova amata.
Altro, che baci, di',
v'intervenne, vi fu
tra la tua Delia, e te?
▼CALISTO▲
Un certo dolce che,
che dir non te 'l saprei.
▼GIUNONE▲
Non più, non più.
Le forme della figlia, uso alla frode,
prese il mio buon consorte
per appagar il perfido appetito,
grazioso marito.
▼CALISTO▲
Deh se mai non discenda
il tuo Giove del ciel per ingannare
le vergini innocenti,
raddolcite, e clementi
di Diana alterata
rendimi l'ire, e fa' ch'omai placata
giri ver me le luci sue serene.
Ecco appunto, che viene.
▼GIUNONE▲
Certa son dell'inganno,
in quelle forme è Giove.
A Mercurio il conosco,
al scaltro suo messaggio,
al ladro accorto,
che fabbro del mio torto
ha per me sempre nella bocca il tosco.
Scena Sesta
▼GIOVE▲
(in Diana, a Mercurio)
Esprimerti non posso
il goduto piacere.
Tal lassù nelle sfere,
e nelle glorie mie
no 'l finisco, no 'l provo.
Io, che regalo, e meno
i cerchi erranti, e che sostengo il mondo,
con diletto giocondo,
ben che nell'operar sempre indefesso,
con le fatture mie ricreo me stesso.
▼MERCURIO▲
Tu non dovevi o facitor sovrano,
già, che sì ti diletti
de' generati aspetti
indipendente far l'arbitrio umano.
Se fosse a te soggetto
chi vive in libertade,
senza tante mutanze,
e tanti inganni,
di sembianze, e di panni,
godresti ogni beltade.
▼GIUNONE▲
Oh consiglio prudente,
esser non può costui più miscredente.
▼CALISTO▲
(A Giunone)
Alta regina, io voglio
pria, che per me la tua bontà s'impieghi
in suppliche, ed in preghi
provar s'è la mia diva anco di scoglio.
▼GIUNONE▲
Troverai placidetta,
va' pur, la tua diletta.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Calisto anima mia?
▼GIUNONE▲
O sferze, o gelosia.
▼CALISTO▲
Mio conforto, mia vita!
▼GIOVE▲
(in Diana)
Mia dolcezza infinita!
▼CALISTO▲
Mio ristoro.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Mio martoro.
▼CALISTO▲
Mio sospiro.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Mio respiro.
▼CALISTO▲
Mio desio.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Onde vieni?
▼CALISTO▲
A te ben mio.
▼MERCURIO▲
Di dolci parolette
lasciva melodia.
▼GIUNONE▲
O sferze, o gelosia.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Dove dall'urna sua
scaturisce il Ladone i suoi cristalli
vanne, vanne mia cara,
e di novo prepara
la bocca a guerreggiar co' miei coralli,
io tosto là verrò.
▼CALISTO▲
Rapida me ne vo.
Ma chi è costui, che ti risiede appresso?
▼GIOVE▲
(in Diana)
Del mio buon padre il messo.
▼CALISTO▲
Volea, poch'è, facondo
farmi preda di Giove,
ma resa sorda
a lusinghieri inviti
furo lasciati ambo da me scherniti.
Eccelsa imperatrice,
la cagion non le chiesi
del procelloso nembo,
e del tranquillo,
li sdegni ha la mia dèa placidi resi;
tutta fasto,
in contento il cor distillo.
▼GIUNONE▲
Vo', che tu cangi presto
quel tuo lieto in funesto.
Scena Settima
▼GIOVE▲
(in Diana)
Trar da quelle vaghezze
bramo Cillenio mio dolcezze nove.
▼MERCURIO▲
Giunon, Giunone, o Giove.
▼GIUNONE▲
Mercurio? Ove lasciasti,
teco quaggiù disceso
a consolar la terra, il mio marito?
▼MERCURIO▲
Il ristoro adempito
dell'egra madre accesa,
ritorno dell'Olimpo agl'alti nidi.
▼GIUNONE▲
Di là vengo, né 'l vidi.
Forse, ch'ei t'ha ingannato,
e deviando da già presi voli,
tra le selve celato,
amator fraudolente
deve, deve ingannar ninfa innocente.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Qualche notizia ha certo
della mia dolce sorte
la gelosa consorte.
▼MERCURIO▲
Sempre maligno, e gelido sospetto
ti tiranneggia il petto.
▼GIUNONE▲
Porge poca credenza
l'esperienza mia
al dio della bugia.
Ma voi celeste, o vergine matrona,
che fate qui con ladri, e con mezzani?
Accoppiamenti strani,
l'onestade vid'io con la lascivia.
E che volete trivia
che si dica di voi? Che lingua dotta,
con retorica rea v'abbia corrotta?
Lo discacci di qua
la vostra castità.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Non può macchia, o sozzura
render nera mia fama, e farla impura.
Senza oscurarmi l'onorato grido
poss'io conversar l'ore
con Venere, e d'amore.
▼GIUNONE▲
E baciar le donzelle.
▼MERCURIO▲
(fra sè)
È scoperta la frode,
e della frode il fabbro.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Non è negato il bacio a casto labbro,
bocca pura, e pudica
può baciar senza biasmo,
la verginella amica.
▼GIUNONE▲
Sì, ma negl'antri lecito non gl'è
condur le semplicette, e farle poi
un certo dolce che,
come fatto gustare gl'avete voi.
▼MERCURIO▲
(fra sè)
Lo diss'io.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Giuno, Giuno ove trascorre
la lingua disonesta?
Esprimi più modesta
concetti degni dell'udito mio,
o la selva abbandona,
ove solo le voci casti
il eco risuona.
▼GIUNONE▲
Non v'alterate no,
triforme lascivetta
i vostri vezzi io so;
e crederei, che Giove
sotto quelle sembianze,
scordato il firmamento,
errasse per le selve a lussi intento.
Ma fatto continente
più non segue,
od apprezza
la caduca bellezza;
e poi d'averlo visto afferma,
attesta quel suo buon messaggero,
volar al trono del sublime impero.
Orsù voglio lasciarvi,
né importunarvi più.
Dentro li spechi
nettare più soave
amor v'arrechi.
Scena Ottava
▼GIOVE▲
(in Diana)
Chi condusse costei
dal cielo a investigare i gusti miei?
▼MERCURIO▲
La gelosia, che vede
con cento lumi, e cento
ch'agile come il vento
penetra il chiuso, e il tutto osserva, e crede.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Ululi, frema, e strida,
qual belva inferocita,
a gl'amorosi torti
la moglie ingelosita,
non farà mai, che lasci i miei conforti.
▼MERCURIO, GIOVE▲
È spedito quel marito,
che regolar le voglie si lascia dalla moglie.
Con quello, che piace
si smorzi la face
del nostro appetito.
E poscia il rigore
accheti il rumore.
È spedito quel marito,
che regolar le voglie si lascia dalla moglie.
Scena Nona
▼ENDIMIONE▲
Cor mio, che vuoi tu?
Che speri, che brami,
che chiedi di più?
Più lieto di te,
ch'il cielo baciasti
in terra non è.
Cor mio, più lieto di te,
ch'il cielo baciasti
in terra non è.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Mercurio, che disfoga
in amorosi carmi il chiuso ardore?
▼MERCURIO▲
Delle pelasge selve
l'ornamento, l'onore.
Pastor, che non di belve
vago, o di pascolar gregge, ed armenti,
con lodevoli studi
vuol che l'ingegno sudi
in specolar del ciel gl'astri lucenti.
▼ENDIMIONE▲
O splendida mia dèa,
felicità dell'alma,
mia fortuna, mia calma.
Dal mio Liceo felice,
ove, mercede tua, lasciai la pena
ti trovo, sceso appena?
Il core amor ringrazia, e benedice.
Ma chi è colui, ch'è teco?
Ohimè fiero tormento
nato da gelosia nel petto io sento.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Cinzia fa poi la casta,
e pur anch'ella ha di segreti amanti.
▼MERCURIO▲
Questi falsi sembianti,
con gl'arnesi mentiti
signor deponi, che di vaghe invece
troverai di mariti.
Scena Decima
▼IL SATIRINO▲
Se tu no 'l credi, vedila
di novo unita all'emulo,
quell'agreste, ch'accennoti
il drudo è di Trigemina.
▼PANE▲
Scellerato, dai vincoli
stretto di questi muscoli
non fuggirai le Eumenide
del doglioso rammarico,
ch'in sen per te mi pullula.
▼ENDIMIONE▲
Lasciami, chi t'offese?
Ch'ingiuria t'ho fatt'io
o semicapro dio?
▼GIOVE▲
(in Diana)
Qual furia agita Pane?
▼PANE▲
Ecco il tuo vago o perfida,
incatenato, e fattomi
prigion da fato prospero
sugl'occhi tuoi, ch'aborrono
la figurata, e mistica
mia mostruosa immagine.
Quei livori, che vedonsi
nelle tue guance candide
sono pur le memorie
de' baci soavissimi,
ch'i labbri tuoi mi dierono.
Or perché sprezzi, e fuggimi
incostante, e contraria?
Ahi, che nota è l'origine
dell'amor tuo volubile.
Costui ch'in pianto stillasi
è del mio mal la causa;
ma far di lui spettacolo
funesto e miserabile
voglio a quei rai, che, fulmini
fatti per me, m'uccidono.
▼MERCURIO▲
Da questi intrichi usciamo,
partiam, Giove partiamo.
▼GIOVE▲
(in Diana)
Satiro dispettoso
uccidi pur, carnefice, a tua voglia,
non avrai mai salute all'aspra doglia.
▼ENDIMIONE▲
Dove vai diva? Aita.
Parti? Perdo la vita.
Scena Undicesima
▼PANE, SILVANO▲
Fermati o mobile.
A par del turbine,
così tu l'anima
lasci all'arbitrio di cor, ch'infuria?
D'acerba ingiuria
feroci vendici
quel duol, ch’annidassi
nel petto lacero
si estirpi, e uccidasi,
con l'altrui strazio,
di vendetta il desio se n' resti sazio.
▼ENDIMIONE▲
Oh dio così abbandoni
sul margo del sepolcro
il tuo fedele?
Oh dio così crudele
mi lasci agonizzante?
Mira almen la mia morte,
amata amante.
▼PANE, SILVANO, IL SATIRINO▲
Miserabile,
che credevi a donna instabile?
Variabile
è la tua fede, e detestabile.
Miserabile,
che credevi a donna instabile?
▼ENDIMIONE▲
Amor, se non m'ascolta
la dispietata mia, qui drizza l'ali,
difendami i tuoi strali.
▼PANE, SILVANO, IL SATIRINO▲
Miserabile,
dunque speri
in dio mutabile?
Egl'è inabile,
né ti sente, arcier vagabile.
Miserabile,
dunque speri
in dio mutabile?
▼ENDIMIONE▲
Uccidetemi dunque
dalle speranze mie
povero derelitto;
tolga il martir la morte ad un afflitto.
▼PANE▲
Poiché morir desideri
vo', che tu formi gl'aliti
per eternarti il flebile
privo di libertà.
▼ENDIMIONE▲
O dèi, che crudeltà.
▼PANE, SILVANO, ENDIMIONE▲
Pazzi quei, ch'in Amor credono.
Son baleni che spariscono.
Le dolcezze e in fiel forniscono
suoi piaceri, o mai si vedono.
Pazzi quei, ch'in amor credono.
ATTO SECONDO
Scena Prima
(Le cime del monte Liceo)
ENDIMIONE
Erme, e solinghe cime,
ch'al cerchio m'accostate
delle luci adorate,
in voi di novo imprime,
contemplator segreto
Endimione l'orme.
Le variate forme
della stella d'argento
lusingando, e baciando,
di chiare notti tra i sereni orrori,
sulla terra, e sui sassi i suoi splendori.
Lucidissima face
di Tessaglia le note
non sturbino i tuoi giri, e la tua pace.
Dagl'atlantici monti
traboccando le rote,
Febo, del carro ardente, omai tramonti.
Il mio lume nascente
illuminando il cielo
più bello a me si mostri,
e risplendente.
Astro mio vago, e caro
a' tuoi raggi di gelo,
nel petto amante
a nutrir fiamme imparo.
Qual sopor repentino
a' dolce oblio m'invita
su quest'erta romita?
Sonno cortese, sonno
s'alle lusinghe tue pronto mi rendo.
Deh fa' tu, che dormendo
amorosi fantasmi
mi felicitin l'anima svegliata.
Baciatrice baciata
mandan in sen la diva mia crudele,
e stringendo i tuoi lacci,
in dolci inganni
fa' che morto in tal guisa
io viva gl'anni.
(Endimion dorme)
Scena Seconda
DIANA
Candidi corridori,
cervi veloci, al vostro moto,
al corso
sul vertice Liceo
si ponga il morso.
Ascender qui ved'io
il pastorello mio,
e qui solinga in solitario loco
per arder al mio foco,
non per scoprirmi amante
mi son condotta.
Oh Cinzia fortunata,
il gemino Levante,
del tuo sole, che cerchi, ecco che dorme.
Ammirabili forme,
ignota adoratrice
vi potrò pur, felice
vagheggiar, contemplarvi,
senza rossor baciarvi.
Ma che parli de' baci
o casta Delia? Ah taci.
Ohimè, che mi procura amareggiare
il soave pensiero? Io vo' baciare.
Oh aliti odorati,
spiran d'Arabia i fiati
queste labbra di rose,
e aure preziose
m'invia, più, che m'accosto
il cinnamomo, il costo.
ENDIMIONE
Bella quanto crudele
non fuggirai più no dal tuo fedele.
DIANA
Sogna, e mi stringe al petto;
deh mai non si svegliasse,
e il mio divin restasse
incatenato sempre al suo diletto.
ENDIMIONE
Viso eterno ti bacio, e godo,
e sento nel baciarti, mia dèa,
dolce il tormento.
DIANA
Non posso distaccarmi,
temo ch'egli si desti.
ENDIMIONE
Che prodigi son questi?
DIANA
Ohimè, ch'ei s'è svegliato.
ENDIMIONE
Oh dio, che dormo ancora?
Del sonno supplicato
l'illusioni amabili anco abbraccio?
Tormentoso mio laccio
chi mi ti rende amorosetto, e pio?
Sacrilego son io
che le menti del cielo,
e stringo e tocco,
ma di goder cotanta gloria parmi,
che prima di lasciarle
io vo' dannarmi.
DIANA
Rallenta questi nodi mio conforto.
ENDIMIONE
Mio che?
DIANA
Ardor, mio foco.
ENDIMIONE
Ohimè m'uccide la dolcezza.
DIANA
Lasciami mia bellezza,
e già, che amor sagace
nel tuo seno mi pose
paleso la mia face,
ti confesso la piaga.
ENDIMIONE
Ah diva Artemia, e vaga,
formano le tue fiamme
il rogo alla mia vita,
moro alla tua ferita.
DIANA
Vivi, vivi, a' nostri amori.
Rasserena la tua pena
raddoppiando i nati ardori.
Vivi, vivi a' nostri amori.
ENDIMIONE
Moribondo, eccomi sano.
Tristo duolo
ratto a volo
da me fugge, e va lontano.
Moribondo eccomi sano.
DIANA
Partir devo. Addio rimanti.
ENDIMIONE
Tu mi lasci? Io riedo a' pianti
DIANA
Così chiede il mio decoro.
ENDIMIONE
Torna indietro, o mio martoro.
DIANA
Breve la lontananza
sarà, rasciuga gl'occhi o mia speranza.
ENDIMIONE
Quando più ti rivedrò?
DIANA
Presto, presto mio ben
lieto rimanti, io vo'.
ENDIMIONE
Teco l'anima vien.
DIANA
Mio sole.
ENDIMIONE
Cor mio.
DIANA, ENDIMIONE
Addio.
Scena Terza
IL SATIRINO
Alfin la tanto rigida,
quella, che delle vergini
imperatrice, e satrapa
è come l'altre femmine
soggette al senso fragile;
e che sempre s'appigliano
al male, al peggio, al pessimo.
Pane, ch'è un dio sì nobile
costei ripudia, e gettasi
nelle braccia d'un rustico.
Se gl'occhi lo spettacolo
veduto non avessero
mai non avrei credutolo.
Voglio avvisar il languido,
ei vi porrà rimedio.
Chi crede a femmina
nell'acque semina;
e prima svellere
potrà man tenera
antica rovere, che mai commuovere
suo cor, che genera fede mutabile.
Chi crede a femmina
mai sempre instabile
nell'acque semina.
Scena Quarta
(La pianura dell'Erimanto)
GIUNONE
Dalle gelose mie cure incessanti
lacera, stimolata,
a questo suolo
de' miei pomposi augelli
io piombo il volo,
fatti del mio furor compagni erranti.
Stupri novelli a sussurrare intesi.
Abbandonata la celeste corte,
ignoto qui dimora il mio consorte,
chiuso in stranieri, e indecenti arnesi.
Sempre per ingannar fanciulle belle,
novo Proteo,
si cangia in forme nove,
aspetto un dì, che questo mio gran Giove
mi conduca le drude
in sulle stelle.
Scena Quinta
CALISTO
Sgorgate anco sgorgate
fontane dolorose,
luci mie lagrimose
quell'umor, che dal cor
ascendendo a voi se 'n vien.
M'è sparito in un balen
il conforto,
restò morto quel piacer, che già gustò
da dèa pia l'alma mia,
sin, che vivo io piangerò.
GIUNONE
Che lagrime son queste
o bella faretrata?
CALISTO
Piango mia sorte ingrata.
GIUNONE
Le tue noie funesti
a me scopri, che posso,
moglie del gran motore,
sanarti ogni dolore.
CALISTO
Oh reina del cielo
scusa l'irriverente io non conobbi
la tua divinità nel terreo velo,
Cinzia, che seguo, e onoro
mi scaccia dal suo coro.
GIUNONE
La cagion?
CALISTO
Mi condusse
in antro dilettoso,
e mi baciò più fiate
come se stato fosse il vago, il sposo.
Le mie labbra baciate
le sue baciavo a gara,
stretta dalle sue braccia.
Or ella nega il bacio, e me discaccia.
GIUNONE
Tocca la terra appena,
temo d'aver trovata
dell'adultero mio la nova amata.
Altro, che baci, di',
v'intervenne, vi fu
tra la tua Delia, e te?
CALISTO
Un certo dolce che,
che dir non te 'l saprei.
GIUNONE
Non più, non più.
Le forme della figlia, uso alla frode,
prese il mio buon consorte
per appagar il perfido appetito,
grazioso marito.
CALISTO
Deh se mai non discenda
il tuo Giove del ciel per ingannare
le vergini innocenti,
raddolcite, e clementi
di Diana alterata
rendimi l'ire, e fa' ch'omai placata
giri ver me le luci sue serene.
Ecco appunto, che viene.
GIUNONE
Certa son dell'inganno,
in quelle forme è Giove.
A Mercurio il conosco,
al scaltro suo messaggio,
al ladro accorto,
che fabbro del mio torto
ha per me sempre nella bocca il tosco.
Scena Sesta
GIOVE
(in Diana, a Mercurio)
Esprimerti non posso
il goduto piacere.
Tal lassù nelle sfere,
e nelle glorie mie
no 'l finisco, no 'l provo.
Io, che regalo, e meno
i cerchi erranti, e che sostengo il mondo,
con diletto giocondo,
ben che nell'operar sempre indefesso,
con le fatture mie ricreo me stesso.
MERCURIO
Tu non dovevi o facitor sovrano,
già, che sì ti diletti
de' generati aspetti
indipendente far l'arbitrio umano.
Se fosse a te soggetto
chi vive in libertade,
senza tante mutanze,
e tanti inganni,
di sembianze, e di panni,
godresti ogni beltade.
GIUNONE
Oh consiglio prudente,
esser non può costui più miscredente.
CALISTO
(A Giunone)
Alta regina, io voglio
pria, che per me la tua bontà s'impieghi
in suppliche, ed in preghi
provar s'è la mia diva anco di scoglio.
GIUNONE
Troverai placidetta,
va' pur, la tua diletta.
GIOVE
(in Diana)
Calisto anima mia?
GIUNONE
O sferze, o gelosia.
CALISTO
Mio conforto, mia vita!
GIOVE
(in Diana)
Mia dolcezza infinita!
CALISTO
Mio ristoro.
GIOVE
(in Diana)
Mio martoro.
CALISTO
Mio sospiro.
GIOVE
(in Diana)
Mio respiro.
CALISTO
Mio desio.
GIOVE
(in Diana)
Onde vieni?
CALISTO
A te ben mio.
MERCURIO
Di dolci parolette
lasciva melodia.
GIUNONE
O sferze, o gelosia.
GIOVE
(in Diana)
Dove dall'urna sua
scaturisce il Ladone i suoi cristalli
vanne, vanne mia cara,
e di novo prepara
la bocca a guerreggiar co' miei coralli,
io tosto là verrò.
CALISTO
Rapida me ne vo.
Ma chi è costui, che ti risiede appresso?
GIOVE
(in Diana)
Del mio buon padre il messo.
CALISTO
Volea, poch'è, facondo
farmi preda di Giove,
ma resa sorda
a lusinghieri inviti
furo lasciati ambo da me scherniti.
Eccelsa imperatrice,
la cagion non le chiesi
del procelloso nembo,
e del tranquillo,
li sdegni ha la mia dèa placidi resi;
tutta fasto,
in contento il cor distillo.
GIUNONE
Vo', che tu cangi presto
quel tuo lieto in funesto.
Scena Settima
GIOVE
(in Diana)
Trar da quelle vaghezze
bramo Cillenio mio dolcezze nove.
MERCURIO
Giunon, Giunone, o Giove.
GIUNONE
Mercurio? Ove lasciasti,
teco quaggiù disceso
a consolar la terra, il mio marito?
MERCURIO
Il ristoro adempito
dell'egra madre accesa,
ritorno dell'Olimpo agl'alti nidi.
GIUNONE
Di là vengo, né 'l vidi.
Forse, ch'ei t'ha ingannato,
e deviando da già presi voli,
tra le selve celato,
amator fraudolente
deve, deve ingannar ninfa innocente.
GIOVE
(in Diana)
Qualche notizia ha certo
della mia dolce sorte
la gelosa consorte.
MERCURIO
Sempre maligno, e gelido sospetto
ti tiranneggia il petto.
GIUNONE
Porge poca credenza
l'esperienza mia
al dio della bugia.
Ma voi celeste, o vergine matrona,
che fate qui con ladri, e con mezzani?
Accoppiamenti strani,
l'onestade vid'io con la lascivia.
E che volete trivia
che si dica di voi? Che lingua dotta,
con retorica rea v'abbia corrotta?
Lo discacci di qua
la vostra castità.
GIOVE
(in Diana)
Non può macchia, o sozzura
render nera mia fama, e farla impura.
Senza oscurarmi l'onorato grido
poss'io conversar l'ore
con Venere, e d'amore.
GIUNONE
E baciar le donzelle.
MERCURIO
(fra sè)
È scoperta la frode,
e della frode il fabbro.
GIOVE
(in Diana)
Non è negato il bacio a casto labbro,
bocca pura, e pudica
può baciar senza biasmo,
la verginella amica.
GIUNONE
Sì, ma negl'antri lecito non gl'è
condur le semplicette, e farle poi
un certo dolce che,
come fatto gustare gl'avete voi.
MERCURIO
(fra sè)
Lo diss'io.
GIOVE
(in Diana)
Giuno, Giuno ove trascorre
la lingua disonesta?
Esprimi più modesta
concetti degni dell'udito mio,
o la selva abbandona,
ove solo le voci casti
il eco risuona.
GIUNONE
Non v'alterate no,
triforme lascivetta
i vostri vezzi io so;
e crederei, che Giove
sotto quelle sembianze,
scordato il firmamento,
errasse per le selve a lussi intento.
Ma fatto continente
più non segue,
od apprezza
la caduca bellezza;
e poi d'averlo visto afferma,
attesta quel suo buon messaggero,
volar al trono del sublime impero.
Orsù voglio lasciarvi,
né importunarvi più.
Dentro li spechi
nettare più soave
amor v'arrechi.
Scena Ottava
GIOVE
(in Diana)
Chi condusse costei
dal cielo a investigare i gusti miei?
MERCURIO
La gelosia, che vede
con cento lumi, e cento
ch'agile come il vento
penetra il chiuso, e il tutto osserva, e crede.
GIOVE
(in Diana)
Ululi, frema, e strida,
qual belva inferocita,
a gl'amorosi torti
la moglie ingelosita,
non farà mai, che lasci i miei conforti.
MERCURIO, GIOVE
È spedito quel marito,
che regolar le voglie si lascia dalla moglie.
Con quello, che piace
si smorzi la face
del nostro appetito.
E poscia il rigore
accheti il rumore.
È spedito quel marito,
che regolar le voglie si lascia dalla moglie.
Scena Nona
ENDIMIONE
Cor mio, che vuoi tu?
Che speri, che brami,
che chiedi di più?
Più lieto di te,
ch'il cielo baciasti
in terra non è.
Cor mio, più lieto di te,
ch'il cielo baciasti
in terra non è.
GIOVE
(in Diana)
Mercurio, che disfoga
in amorosi carmi il chiuso ardore?
MERCURIO
Delle pelasge selve
l'ornamento, l'onore.
Pastor, che non di belve
vago, o di pascolar gregge, ed armenti,
con lodevoli studi
vuol che l'ingegno sudi
in specolar del ciel gl'astri lucenti.
ENDIMIONE
O splendida mia dèa,
felicità dell'alma,
mia fortuna, mia calma.
Dal mio Liceo felice,
ove, mercede tua, lasciai la pena
ti trovo, sceso appena?
Il core amor ringrazia, e benedice.
Ma chi è colui, ch'è teco?
Ohimè fiero tormento
nato da gelosia nel petto io sento.
GIOVE
(in Diana)
Cinzia fa poi la casta,
e pur anch'ella ha di segreti amanti.
MERCURIO
Questi falsi sembianti,
con gl'arnesi mentiti
signor deponi, che di vaghe invece
troverai di mariti.
Scena Decima
IL SATIRINO
Se tu no 'l credi, vedila
di novo unita all'emulo,
quell'agreste, ch'accennoti
il drudo è di Trigemina.
PANE
Scellerato, dai vincoli
stretto di questi muscoli
non fuggirai le Eumenide
del doglioso rammarico,
ch'in sen per te mi pullula.
ENDIMIONE
Lasciami, chi t'offese?
Ch'ingiuria t'ho fatt'io
o semicapro dio?
GIOVE
(in Diana)
Qual furia agita Pane?
PANE
Ecco il tuo vago o perfida,
incatenato, e fattomi
prigion da fato prospero
sugl'occhi tuoi, ch'aborrono
la figurata, e mistica
mia mostruosa immagine.
Quei livori, che vedonsi
nelle tue guance candide
sono pur le memorie
de' baci soavissimi,
ch'i labbri tuoi mi dierono.
Or perché sprezzi, e fuggimi
incostante, e contraria?
Ahi, che nota è l'origine
dell'amor tuo volubile.
Costui ch'in pianto stillasi
è del mio mal la causa;
ma far di lui spettacolo
funesto e miserabile
voglio a quei rai, che, fulmini
fatti per me, m'uccidono.
MERCURIO
Da questi intrichi usciamo,
partiam, Giove partiamo.
GIOVE
(in Diana)
Satiro dispettoso
uccidi pur, carnefice, a tua voglia,
non avrai mai salute all'aspra doglia.
ENDIMIONE
Dove vai diva? Aita.
Parti? Perdo la vita.
Scena Undicesima
PANE, SILVANO
Fermati o mobile.
A par del turbine,
così tu l'anima
lasci all'arbitrio di cor, ch'infuria?
D'acerba ingiuria
feroci vendici
quel duol, ch’annidassi
nel petto lacero
si estirpi, e uccidasi,
con l'altrui strazio,
di vendetta il desio se n' resti sazio.
ENDIMIONE
Oh dio così abbandoni
sul margo del sepolcro
il tuo fedele?
Oh dio così crudele
mi lasci agonizzante?
Mira almen la mia morte,
amata amante.
PANE, SILVANO, IL SATIRINO
Miserabile,
che credevi a donna instabile?
Variabile
è la tua fede, e detestabile.
Miserabile,
che credevi a donna instabile?
ENDIMIONE
Amor, se non m'ascolta
la dispietata mia, qui drizza l'ali,
difendami i tuoi strali.
PANE, SILVANO, IL SATIRINO
Miserabile,
dunque speri
in dio mutabile?
Egl'è inabile,
né ti sente, arcier vagabile.
Miserabile,
dunque speri
in dio mutabile?
ENDIMIONE
Uccidetemi dunque
dalle speranze mie
povero derelitto;
tolga il martir la morte ad un afflitto.
PANE
Poiché morir desideri
vo', che tu formi gl'aliti
per eternarti il flebile
privo di libertà.
ENDIMIONE
O dèi, che crudeltà.
PANE, SILVANO, ENDIMIONE
Pazzi quei, ch'in Amor credono.
Son baleni che spariscono.
Le dolcezze e in fiel forniscono
suoi piaceri, o mai si vedono.
Pazzi quei, ch'in amor credono.