ATTO PRIMO
Scena Prima
(Sala regia. Trono. Norfolk, Guglielmo e cavalieri, situati in ordine, attendono l'arrivo della regina. Guardie)
▼CORO▲
Più lieta, più bella
apparve l’aurora;
malefica stella
dal cielo sgombrò.
Del raggio di pace
il sole s’indora;
di Marte la face
estinta restò.
▼NORFOLK▲
(Fra sè)
Oh voci funeste,
che aborre quest’alma!
La rabbia m'investe:
più calma non ho.
(Il suono de’ militari strumenti in distanza, che si avvicina di grado in grado, annunzia l’ingresso in cittá delle armi vittoriose condotte da Leicester)
▼CORO▲
Udite… S’avanza
l’invitto campione,
de’ cori speranza,
delizia d’Albione,
d’Elisa sostegno,
del regno splendor.
▼NORFOLK▲
(Fra sè)
Che smania! che affanno!
Destino tiranno!
Avvampo di sdegno,
m’uccide il dolor.
Recitativo
▼GUGLIELMO▲
(Tirando Norfolk in disparte)
Nel giubilo comun, signore, tu solo
parte non prendi in si felice giorno.
Perchè? Rimira intorno:
vedi qual gioia a ognun siede sul ciglio.
▼NORFOLK▲
(Fra sè)
Importuno!
(Forte)
Guglielmo,
s’io godo al comun bene,
lo sa il Ciel, tu lo sai, che appien conosci
il sensibil mio cor.
▼GUGLIELMO▲
(Fra sè)
Così potessi
ignorar qual tu se’.
▼NORFOLK▲
Ma in veder che a’ trofei
dell’anglico valore
parte io non ho, mi reca affanno al core.
▼CORO E CAVATINA▲
(Elisabetta entra con seguito di dame, cavalieri, paggi e guardie. Tutti s’inchinano)
▼CORO▲
Esulta, Elisa, omai
in giorno sì beato.
Cangiò sembianza il fato;
tutto cangiò per te.
L’invitto eroe vedrai,
deporti i lauri al piè.
▼ELISABETTA▲
Quant’è grato all’alma mia
il comun dolce contento!
Giunse alfine il bel momento
che c’invita a respirar.
▼CORO▲
Dopo tante rie vicende,
real donna, a pace in seno
tu ritorni a riposar.
▼ELISABETTA▲
Questo cor ben lo comprende,
palpitante dal diletto.
(Fra sè)
Rivedrò quel caro oggetto
che d’amor mi fa brillar.
▼CORO▲
Possa ognor, felice appieno,
teco l’Anglia giubilar.
Recitativo e Coro
▼ELISABETTA▲
Grandi del regno, è questo
il più bel giorno di mia vita.
Coronò la vittoria agli Angli il crine.
Del forte duce, a cui deve la patria
ogni suo ben, risuona
ovunque il nome, e tanta fama ei gode,
che al suo merto è minor qualsiasi lode.
Pur da noi non si lasci
d'onorar la presenza
di si nobil campion. Qui lo scortate.
▼GUGLIELMO▲
Ei s’affretta al tuo pi’e.
▼ELISABETTA▲
(Fra sè)
Qual gioia!
(Forte)
Andate.
(I grandi vanno all’ingresso a ricevere il vincitore; Norfolk a stento li segue; Elisabetta, assistita da Guglielmo, va sul trono. Leicester entra accompagnato da’ primari uffiziali, e seguito da più nobili Scozzesi, tra i quali sono Matilde, sotto spoglie virili, ed Enrico)
▼CORO▲
Vieni, o prode, qui tergi i sudori;
con gli olivi di pace gli allori
vieni il crine onorato a fregiar.
Tutto cede al tuo braccio possente;
per te riede ogni volto ridente;
per te cessa ogni lungo penar.
Recitativo
▼LEICESTER▲
Alta Regina, invano
lo Scotto altero al nostro ardir si oppose.
Col nome tuo sul labbro
gli Angli pugnarono, e, al rimbombar delle armi,
dal vincitor l’udía
il nemico guerrier mentre pería.
Di rea discordia omai
spenta è la face.
Al tuo poter soggiace
chi spezzarlo tentò.
D’uopo non hai
più del nostro valore; onde al tuo piede
del comando delle armi,
che degnasti affidarmi, eccoti il segno.
(Depone sui gradini del trono il bastone del comando)
Esulti Elisa e teco esulti il regno.
▼ELISABETTA▲
Giovane eroe, quanto per me facesti,
quanto a pro della patria usò finora
del tuo gran cor la fede,
d’ogni dono è maggior, d’ogni mercede.
Obbligarlo non so. Ti appressa. Intanto
abbiti questo pegno
della grata alma mia.
(Leicester si prostra, Elisabetta togliendosi dal petto un ordine cavalleresco, ne fregia di sua mano il duce)
▼LEICESTER▲
Oh generosa!
▼NORFOLK▲
(Fra sè)
Oh rabbia!
▼MATILDE▲
(Fra sè)
Oh gelosia!
(Al cenno di Leicester si avanzano gli Scozzesi, e si prostrano alla Regina, resentandole i preziosi tributi che recano sopra de’ bacili da un bianco velo)
▼LEICESTER▲
Questi, sovrana eccelsa
germi di chiara stirpe illustri ostaggi,
proni al tuo soglio vedi.
Que’ preziosi arredi
ch’oggi t’invia la sottomessa Scozia…
(Sospende il discorso nel riconoscere tra gli ostaggi la consorte ed il cognato)
(Fra sè)
Oh ciel!… che mai vegg’io…
Stelle!… Matilde!… Enrico!…
E un sogno il mio?
▼ELISABETTA▲
(Agli ostaggi)
Sorgete. Entro la reggia
avrete asilo. All’onorevol grado
de’ paggi miei v’eleggo.
(Scende dal trono)
Londra festeggi in così lieto giorno
delle nostre armi il fortunato evento;
sia partecipe ognun del mio contento.
(Elisabetta nel ritirarsi guarda benignamente Leicester, donandogli la mano da baciare. Norfolk freme; Matilde fa lo stesso; Enrico, che se ne accorge, fa cenno alla sorella d'esser cauta. Ognuno ritirasi fuorchè Leicester, il quale va sull’'ingresso ed ivi trattiene Matilde, ch’è l’ultima ad entrare, a fá che ella retroceda)
Duetto
▼LEICESTER▲
Incauta, che festi!
Seguirmi perchè?
Gli affetti son questi
d’amore e di fé?
▼MATILDE▲
La fede, l’amore
guidano il mio piè;
di sposa al timore
ritegno non v'è.
▼LEICESTER▲
Ma in tanto periglio…
▼MATILDE▲
Non basta consiglio.
▼LEICESTER▲
Ah! Trema per te!
▼MATILDE▲
Sol tremo per te!
▼A DUE▲
Che palpito io sento!
Che crudo tormento!
Perplesso/perplessa, me stesso/stessa
non trovo più in me.
Recitativo ed Aria
▼LEICESTER▲
Sconsigliata! e non sai che del tuo sangue
la nemica maggior qui si ritrova?
Chi mai trasse a questo
passo orribil, funesto?
▼MATILDE▲
Ahi! sposo… appena
fosti da me diviso,
fama suonò che amore,
e l'amor più tenace, Elisabetta
per Leicester nutria. Qual fosse, oh Dio,
allor l’affanno mio, chi spiegar mai potrebbe?…
Ah! viene Enrico.
(Entra Enrico)
▼LEICESTER▲
Tu, mio congiunto e amico,
di cotanta imprudenza
potesti mai complice farti?
▼ENRICO▲
Ah! Taci.
Ella te’l dica; usai
ogni opra, ogni consiglio
per distorla, ma invan.
Vedendo troppo ostinato quel cor,
volli seguirla,
pensando in queste mura,
colla presenza mia, farla sicura.
▼LEICESTER▲
Vana speranza!
E non pensate, incauti,
che di Maria Stuarda
qui proscritt’á è la prole?
Ch’Elisabetta vuole
del vosro sangue il germe appien distrutto?
▼MATILDE▲
Oh Dio!
▼ENRICO▲
Fa cor, diletta suora;
l’avvenir men funesto lo spero ancora.
▼LEICESTER▲
Separarci convien. Destar sospetto
il favellar qui a lungo ora potria.
Seguila, Enrico; ad ambo
la prudenza or sia guida,
e poi di nostra sorte il ciel decida.
(Fra sè)
Vadasi in traccia di Norfolk, del caro
verace amico in cui pongo ogni speme;
ei sol può invigorir un cor che geme.
(Parte)
▼ENRICO▲
Andiam. Vuole il destino,
che teco io resti al fianco di colei,
che degli affanni nostri
fu primiera cagion.
▼MATILDE▲
Questo, o germano,
è il dolor che mi uccide.
▼ENRICO▲
D'uopo abbiam il coraggio.
Forse d’esperanza un raggio
il ciel pietoso fia che vibri per noi.
▼MATILDE▲
Sperar non oso.
Sento un’interna voce
che in lagrimevol suono
dice che nata io sono
a piangere e penar.
Ah! se tolto un sol momento
tanto orror da me sarà,
palpitar di bel contento
questo core allor potrà.
(Parte con Enrico)
Scena Seconda
(Appartamenti reali)
▼NORFOLK▲
(Fra sè)
Che intesi!
In queste stanze, inosservato,
puoi, dolce amico, favellar.
(Fra sè)
Che gioia!
(Forte)
Prosegui.
▼LEICESTER▲
Un dì, dopo ostinata pugna,
terribil oragan sorge improvviso.
Da’ miei prodi diviso,
in umile capanna
m’è d’uopo ricovrar; quivi m’accoglie
vecchio pastor; Matilde,
che sua figlia credei,
si offerse agli occhi miei: vederla e amarla
è l’opra d’un istante. Al nuovo giorno
in campo io fo ritorno.
Tutto in breve a me cede;
ma, oh Dio! del vincitore
in dolce schiavitù rimane il core.
▼NORFOLK▲
E come di Matilde
sposo ti festi?
▼LEICESTER▲
Grato all’amistade
di qual pastor, m’offersi
contro all’ostil furor d’essergli schermo.
Sento che illustre Scoto
in lui si nascondea; allor gli chiedo
la figlia in moglie; il vedo
al mio discorso impallidir; comprendo
che grave arcano ci cela: prego, insisto;
di Matilde e d’Enrico allor mi svela
l’origine real… Puoi figurarti
qual fu la mia sorpresa. All’amor mio,
tanto tenace, amor quanto funesto,
pietà s’aggiunse…
Io già ti dissi il resto.
▼NORFOLK▲
A grave rischio, amico,
i giorni tuoi, la gloria ponesti;
ma fu colpa d’amore
e amor fa la tua scusa.
(Fra sè)
Esulta o core!
▼LEICESTER▲
Sant’amistade
tra gli affanni che io provo,
almen qualche conforto in te ritrovo.
(Parte)
▼NORFOLK▲
(Solo)
Stelle! T’inganni.
Ah! Meglio
saria stato per te chieder aita
al mar fremente, alle voraci belve,
alle furie d’averno,
che non ad un nemico,
qual ti fui, qual ti son…
(Vedendo giungere Elisabetta)
M’offre vendetta
la total ruina.
(EIisabetta entra)
Recitativo e Duetto
Colmo di duol, Regina,
d’un così lieto dì son io costretto
la gioia a funestarti.
▼ELISABETTA▲
Come!
▼NORFOLK▲
Oh Dio!
Favellar non poss’io… No; forza tanta
in me non è.
▼ELISABETTA▲
Spiegati.
▼NORFOLK▲
Orrendo arcano,
misera, udrai… Deh! lascia…
Sì, lasciami tacer.
▼ELISABETTA▲
Parla. L’impongo.
▼NORFOLK▲
T’ubbidirò.
Leicester…
▼ELISABETTA▲
Che! Leicester…
▼NORFOLK▲
Avvinto in nodo coniugal…
▼ELISABETTA▲
Che parli?
▼NORFOLK▲
Il ver.
▼ELISABETTA▲
Possibil mai!…
Ah! T’ingannasti.
▼NORFOLK▲
No, non m’ingannai.
D’un degli ostaggi sotto finte spoglie
la sua sposa si asconde;
l’accompagna il germano…
Ambi son figli…
▼ELISABETTA▲
Prosegui… Ohimè!
▼NORFOLK▲
Mi manca al dir la voce.
▼ELISABETTA▲
Figli di chi?
▼NORFOLK▲
Ti nuoce il mio parlar.
▼ELISABETTA▲
Tutto saper io voglio.
▼NORFOLK▲
Figli a colei, che si t’offese il soglio.
(Elisabetta, a queste ultime parole cade sopra una sedia ed ivi rimane immobile e come fuori di sé. Norfolk, con volto ipocrita, si avvicina)
Perchè mai, destin crudele,
costringesti il labbro mio!…
Ma fedele a te son io
mentre accuso un traditor.
▼ELISABETTA▲
Con qual fulmine improvviso
mi percosse irato il ciel!
Qual s’addensa orrendo velo
che mi colma di terror!
▼NORFOLK▲
Deh! rammenta…
▼ELISABETTA▲
Taci… Oh Dio!
▼NORFOLK▲
Pensa al regno!
▼ELISABETTA▲
Oh Dio! Mi lascia!
▼NORFOLK▲
Sventurata!
▼ELISABETTA▲
Fiera ambascia!
▼NORFOLK▲
Per te geme questo cor.
▼ELISABETTA▲
Lacerar mi sento il cor.
(Fra sè)
Misera! A quale stato
mi riserbò la sorte!
Stato peggior di morte:
Pių fiero non si dà.
▼NORFOLK▲
(Fra sè)
Reggimi: in tale stato,
deh: non tradirmi o sorte!
Vada il rivale a morte:
pago il mio cor sarà.
(Ad Elisabetta)
Regina, ormai decidi.
▼ELISABETTA▲
Sì, perirà l’indegno.
▼NORFOLK▲
(Fra sè)
Sorte, a’ miei voti arridi.
▼ELISABETTA▲
Sgombri da me pietà.
▼A DUE▲
Quell’alma perfida
non vada altera;
del fallo orribile
la pena avrà.
Fra cento spasimi
l’iniquo pera,
a eterno esempio
d’infedeltá.
(Norfolk parte; entra Guglielmo)
Recitativo
▼ELISABETTA▲
Guglielmo, ascolta.
Pronte ad ogni mio cenno, sull’ingresso
sien le reali guardie. Va! Ma pria
qui Leicester invia…
Trattienti…
(Fra sè)
Oh affanno!
Dove io mi sia non so
(Forte)
Di Scozia i paggi tutti raduna in questo loco.
▼GUGLIELMO▲
Il cenno vado a compir.
(Parte)
▼ELISABETTA▲
(seduta)
Che penso, desolata regina?
A che mai serve
aver doma la Scozia e salvo il trono
se un’infelice io sono?
Sconoscente! Ei pur vide
l’amor d’Elisabetta,
e in laccio coniugal stringer pur volle
della maggior nemica sua la figlia!
Oh delitto!… Ma tremi
l’iniqua coppia. Son regina e amante.
Doppia vendetta… Ecco l’indegno…
Oh istante!
(Leicester viene da un lato; Matilde ed Enrico co’ giovani Scozzesi dall'altro. Leicester, che si sarà presentato con premura, nel vedere la moglie, si ferma ad un tratto; Matilde e Enrico vedendo Leicester fanno lo stesso; Elisabetta riconosce da’ moti e dalla confusione del volto la sua rivale ed il fratello)
▼LEICESTER▲
(Fra sè)
Matilde!
▼MATILDE▲
(Fra sè)
Oh cielo!
▼ENRICO▲
(Fra sè)
Oh incontro!
▼ELISABETTA▲
(Fra sè)
E dessa… Oh rabbia!
(Forte)
T'avanza, o duce… A che t’arresti?
Io voglio men sommesso vederti.
Ti è noto che il primo
de’ miei fidi tu sei, che tal ti estimo.
▼LEICESTER▲
Regina…
(Fra sè)
Che dirō?
Oh Dio
(Forte)
L’umil tuo servo… a tanta
magnanima bont’a…
(Fra sè)
Mi perdo.
▼MATILDE▲
(Fra sè, facendo vedere la propria agitazione)
Oh pena!
▼ENRICO▲
(All’orecchio di Matilde)
Germana, ah! ti raffrena.
▼ELISABETTA▲
Non prosegui?
(Dopo aver guardato a un tempo Leicester, Matilde ed Enrico)
Eh! lascia omai quell'importun ritegno…
(Fra sè)
Geme, trema l'indegno.
Oh piacer di vendetta!…
(Forte)
Ma coraggio
or ti darà la stessa tua regina.
Vieni, giovane eroe.
▼MATILDE▲
Ah!
▼ELISABETTA▲
(Al sospiro di Matilde benchè sommesso, si volta a guardarla; poi dice a Leicester:)
Tavvicina.
Se mi serbasti il soglio
al campo dell’onor,
darti mercede io voglio
degna del tuo valor.
(A cenno d’Elisabetta si avanza un guardia; la regina le parla in segreto)
▼LEICESTER▲
Donna real, deh! frena
sė generosi accenti…
▼LEICESTER, MATILDE, ENRICO▲
(Fra sè)
Oh Dio, resisto appena
a palpiti frequenti
del mio dubbioso cor.
▼ELISABETTA▲
(Fra sè)
Benchè fra’ suoi tormenti,
avrà vendetta amor.
(Ritorna la guardia, recando un bacile coperto da un drappo)
▼LEICESTER▲
(Fra sè)
Di qual mercè favella
io non comprendo ancor.
▼ENRICO, MATILDE▲
(Fra sè)
La mia perversa stella
sempre divien peggiore.
▼ELISABETTA▲
(Che avrà furtivamente osservati i moti di Leicester, di Matilde e d’Enrico, ed i loro sguardi d’intelligenza, freme in segreto; si alza, poi, forzando se stessa, dice:)
Eccoti, eroe magnanimo,
d’un grato core il pegno:
te riconosca il regno
per mio consorte e re.
(Scopre il bacile indicato, che contiene lo scettro e la Corona. Leicester ed i suoi congiunti rimangono a tal vista oltremodo confusi ed abbattuti. Elisabetta gode del loro turbamento)
▼LEICESTER, MATILDE, ENRICO▲
(Fra sè)
Qual colpo inaspettato
a noi serbava il fato…
Il gelo della morte
tutto s’aduna in me.
▼ELISABETTA▲
(Fra sè)
Al colpo inaspettato
che lor serbava il fato
il gelo della morte
impallidir il fe’.
(Dopo qualche pausa)
Duce, in tal guisa accogli
d’una regina il dono?
▼LEICESTER▲
(Tremante, fra sè)
Oh ciel!
(Forte)
Deh!… Scusa… al trono
vassallo umil non osa…
▼ELISABETTA▲
(Fra sè)
Empio!
▼ENRICO▲
(Piano a Matilde)
Ti frena.
▼MATILDE▲
(Fra sè)
Che affanno!
▼ELISABETTA▲
(Fra sè)
Anima rea!
▼A QUATTRO▲
(Fra sè)
Spiegar il duol ch’io sento
possibile non è.
(Dopo breve scena muta, in cui andrà crescendo l’agitazione de’ due congiunti e d’Enrico, Elisabetta, non potendo pių raffrenarsi, proromperà come segue)
▼ELISABETTA▲
Ah! che più tollerar non poss’io
un vassallo fellon, menzoniero.
Or la benda dileguisi al vero:
ecco l’empia che infido ti fa.
(Nel dire queste ultime parole, corre a Matilde, la prende per un braccio, trascinandola nel mezzo della scena)
▼LEICESTER▲
(Fra sè)
Che mai vedo!
▼MATILDE▲
(Fra sè)
Deliro!
▼ENRICO▲
(Fra sè)
Son desto!
▼A TRE▲
(Fra sè)
Disvelato è l’arcano funesto…
(Ad Elisabetta)
Ah! regina, perdono, pietà.
(Cadono a ginocchio a’ piedi di Elisabetta)
▼ELISABETTA▲
Guardie, olà!
(Entrano Guglielmo, guardie, cavalieri e dame)
Quegl’indegni sien serbati al mio giusto furore.
(Fra sè)
Sol di rabbia si pasce il mio cuore; sol vendetta conforto gli dà.
▼GUGLIELMO,CORO▲
Come!… il duce! l’eroe vincitore!…
Oh stupor!… Giusto ciel! che mai sarà?
▼LEICESTER, MATILDE, ENRICO▲
Schermo siam d’un perverso destino…
▼ELISABETTA▲
Traditori, fremete a’ miei sdegni.
▼LEICESTER▲
Sposa…
▼MATILDE▲
Sposo…
▼GUGLIELMO E CORO▲
Sposi!
▼ENRICO▲
(Abbracciando Matilde)
Germana…
▼ELISABETTA▲
Sien disvelti l’un l’altro dal seno.
▼LEICESTER, MATILDE, ENRICO▲
Ah, regina, perdono, pietà.
(Vengono a forza separati)
▼ELISABETTA▲
(Fra sè)
Sol si pasce il mio cor di veleno:
sol vendetta conforto gli dà.
▼CORO▲
Fatal giorno! Impresata ruina!
Surse il sole sereno, ridente -
Or declina - turbato, languente
e di lutto coprendo si va.
(Le guardie conducono a forza i congiunti da parti opposte ed ognuno confusamente ritirasi)
ATTO PRIMO
Scena Prima
(Sala regia. Trono. Norfolk, Guglielmo e cavalieri, situati in ordine, attendono l'arrivo della regina. Guardie)
CORO
Più lieta, più bella
apparve l’aurora;
malefica stella
dal cielo sgombrò.
Del raggio di pace
il sole s’indora;
di Marte la face
estinta restò.
NORFOLK
(Fra sè)
Oh voci funeste,
che aborre quest’alma!
La rabbia m'investe:
più calma non ho.
(Il suono de’ militari strumenti in distanza, che si avvicina di grado in grado, annunzia l’ingresso in cittá delle armi vittoriose condotte da Leicester)
CORO
Udite… S’avanza
l’invitto campione,
de’ cori speranza,
delizia d’Albione,
d’Elisa sostegno,
del regno splendor.
NORFOLK
(Fra sè)
Che smania! che affanno!
Destino tiranno!
Avvampo di sdegno,
m’uccide il dolor.
Recitativo
GUGLIELMO
(Tirando Norfolk in disparte)
Nel giubilo comun, signore, tu solo
parte non prendi in si felice giorno.
Perchè? Rimira intorno:
vedi qual gioia a ognun siede sul ciglio.
NORFOLK
(Fra sè)
Importuno!
(Forte)
Guglielmo,
s’io godo al comun bene,
lo sa il Ciel, tu lo sai, che appien conosci
il sensibil mio cor.
GUGLIELMO
(Fra sè)
Così potessi
ignorar qual tu se’.
NORFOLK
Ma in veder che a’ trofei
dell’anglico valore
parte io non ho, mi reca affanno al core.
CORO E CAVATINA
(Elisabetta entra con seguito di dame, cavalieri, paggi e guardie. Tutti s’inchinano)
CORO
Esulta, Elisa, omai
in giorno sì beato.
Cangiò sembianza il fato;
tutto cangiò per te.
L’invitto eroe vedrai,
deporti i lauri al piè.
ELISABETTA
Quant’è grato all’alma mia
il comun dolce contento!
Giunse alfine il bel momento
che c’invita a respirar.
CORO
Dopo tante rie vicende,
real donna, a pace in seno
tu ritorni a riposar.
ELISABETTA
Questo cor ben lo comprende,
palpitante dal diletto.
(Fra sè)
Rivedrò quel caro oggetto
che d’amor mi fa brillar.
CORO
Possa ognor, felice appieno,
teco l’Anglia giubilar.
Recitativo e Coro
ELISABETTA
Grandi del regno, è questo
il più bel giorno di mia vita.
Coronò la vittoria agli Angli il crine.
Del forte duce, a cui deve la patria
ogni suo ben, risuona
ovunque il nome, e tanta fama ei gode,
che al suo merto è minor qualsiasi lode.
Pur da noi non si lasci
d'onorar la presenza
di si nobil campion. Qui lo scortate.
GUGLIELMO
Ei s’affretta al tuo pi’e.
ELISABETTA
(Fra sè)
Qual gioia!
(Forte)
Andate.
(I grandi vanno all’ingresso a ricevere il vincitore; Norfolk a stento li segue; Elisabetta, assistita da Guglielmo, va sul trono. Leicester entra accompagnato da’ primari uffiziali, e seguito da più nobili Scozzesi, tra i quali sono Matilde, sotto spoglie virili, ed Enrico)
CORO
Vieni, o prode, qui tergi i sudori;
con gli olivi di pace gli allori
vieni il crine onorato a fregiar.
Tutto cede al tuo braccio possente;
per te riede ogni volto ridente;
per te cessa ogni lungo penar.
Recitativo
LEICESTER
Alta Regina, invano
lo Scotto altero al nostro ardir si oppose.
Col nome tuo sul labbro
gli Angli pugnarono, e, al rimbombar delle armi,
dal vincitor l’udía
il nemico guerrier mentre pería.
Di rea discordia omai
spenta è la face.
Al tuo poter soggiace
chi spezzarlo tentò.
D’uopo non hai
più del nostro valore; onde al tuo piede
del comando delle armi,
che degnasti affidarmi, eccoti il segno.
(Depone sui gradini del trono il bastone del comando)
Esulti Elisa e teco esulti il regno.
ELISABETTA
Giovane eroe, quanto per me facesti,
quanto a pro della patria usò finora
del tuo gran cor la fede,
d’ogni dono è maggior, d’ogni mercede.
Obbligarlo non so. Ti appressa. Intanto
abbiti questo pegno
della grata alma mia.
(Leicester si prostra, Elisabetta togliendosi dal petto un ordine cavalleresco, ne fregia di sua mano il duce)
LEICESTER
Oh generosa!
NORFOLK
(Fra sè)
Oh rabbia!
MATILDE
(Fra sè)
Oh gelosia!
(Al cenno di Leicester si avanzano gli Scozzesi, e si prostrano alla Regina, resentandole i preziosi tributi che recano sopra de’ bacili da un bianco velo)
LEICESTER
Questi, sovrana eccelsa
germi di chiara stirpe illustri ostaggi,
proni al tuo soglio vedi.
Que’ preziosi arredi
ch’oggi t’invia la sottomessa Scozia…
(Sospende il discorso nel riconoscere tra gli ostaggi la consorte ed il cognato)
(Fra sè)
Oh ciel!… che mai vegg’io…
Stelle!… Matilde!… Enrico!…
E un sogno il mio?
ELISABETTA
(Agli ostaggi)
Sorgete. Entro la reggia
avrete asilo. All’onorevol grado
de’ paggi miei v’eleggo.
(Scende dal trono)
Londra festeggi in così lieto giorno
delle nostre armi il fortunato evento;
sia partecipe ognun del mio contento.
(Elisabetta nel ritirarsi guarda benignamente Leicester, donandogli la mano da baciare. Norfolk freme; Matilde fa lo stesso; Enrico, che se ne accorge, fa cenno alla sorella d'esser cauta. Ognuno ritirasi fuorchè Leicester, il quale va sull’'ingresso ed ivi trattiene Matilde, ch’è l’ultima ad entrare, a fá che ella retroceda)
Duetto
LEICESTER
Incauta, che festi!
Seguirmi perchè?
Gli affetti son questi
d’amore e di fé?
MATILDE
La fede, l’amore
guidano il mio piè;
di sposa al timore
ritegno non v'è.
LEICESTER
Ma in tanto periglio…
MATILDE
Non basta consiglio.
LEICESTER
Ah! Trema per te!
MATILDE
Sol tremo per te!
A DUE
Che palpito io sento!
Che crudo tormento!
Perplesso/perplessa, me stesso/stessa
non trovo più in me.
Recitativo ed Aria
LEICESTER
Sconsigliata! e non sai che del tuo sangue
la nemica maggior qui si ritrova?
Chi mai trasse a questo
passo orribil, funesto?
MATILDE
Ahi! sposo… appena
fosti da me diviso,
fama suonò che amore,
e l'amor più tenace, Elisabetta
per Leicester nutria. Qual fosse, oh Dio,
allor l’affanno mio, chi spiegar mai potrebbe?…
Ah! viene Enrico.
(Entra Enrico)
LEICESTER
Tu, mio congiunto e amico,
di cotanta imprudenza
potesti mai complice farti?
ENRICO
Ah! Taci.
Ella te’l dica; usai
ogni opra, ogni consiglio
per distorla, ma invan.
Vedendo troppo ostinato quel cor,
volli seguirla,
pensando in queste mura,
colla presenza mia, farla sicura.
LEICESTER
Vana speranza!
E non pensate, incauti,
che di Maria Stuarda
qui proscritt’á è la prole?
Ch’Elisabetta vuole
del vosro sangue il germe appien distrutto?
MATILDE
Oh Dio!
ENRICO
Fa cor, diletta suora;
l’avvenir men funesto lo spero ancora.
LEICESTER
Separarci convien. Destar sospetto
il favellar qui a lungo ora potria.
Seguila, Enrico; ad ambo
la prudenza or sia guida,
e poi di nostra sorte il ciel decida.
(Fra sè)
Vadasi in traccia di Norfolk, del caro
verace amico in cui pongo ogni speme;
ei sol può invigorir un cor che geme.
(Parte)
ENRICO
Andiam. Vuole il destino,
che teco io resti al fianco di colei,
che degli affanni nostri
fu primiera cagion.
MATILDE
Questo, o germano,
è il dolor che mi uccide.
ENRICO
D'uopo abbiam il coraggio.
Forse d’esperanza un raggio
il ciel pietoso fia che vibri per noi.
MATILDE
Sperar non oso.
Sento un’interna voce
che in lagrimevol suono
dice che nata io sono
a piangere e penar.
Ah! se tolto un sol momento
tanto orror da me sarà,
palpitar di bel contento
questo core allor potrà.
(Parte con Enrico)
Scena Seconda
(Appartamenti reali)
NORFOLK
(Fra sè)
Che intesi!
In queste stanze, inosservato,
puoi, dolce amico, favellar.
(Fra sè)
Che gioia!
(Forte)
Prosegui.
LEICESTER
Un dì, dopo ostinata pugna,
terribil oragan sorge improvviso.
Da’ miei prodi diviso,
in umile capanna
m’è d’uopo ricovrar; quivi m’accoglie
vecchio pastor; Matilde,
che sua figlia credei,
si offerse agli occhi miei: vederla e amarla
è l’opra d’un istante. Al nuovo giorno
in campo io fo ritorno.
Tutto in breve a me cede;
ma, oh Dio! del vincitore
in dolce schiavitù rimane il core.
NORFOLK
E come di Matilde
sposo ti festi?
LEICESTER
Grato all’amistade
di qual pastor, m’offersi
contro all’ostil furor d’essergli schermo.
Sento che illustre Scoto
in lui si nascondea; allor gli chiedo
la figlia in moglie; il vedo
al mio discorso impallidir; comprendo
che grave arcano ci cela: prego, insisto;
di Matilde e d’Enrico allor mi svela
l’origine real… Puoi figurarti
qual fu la mia sorpresa. All’amor mio,
tanto tenace, amor quanto funesto,
pietà s’aggiunse…
Io già ti dissi il resto.
NORFOLK
A grave rischio, amico,
i giorni tuoi, la gloria ponesti;
ma fu colpa d’amore
e amor fa la tua scusa.
(Fra sè)
Esulta o core!
LEICESTER
Sant’amistade
tra gli affanni che io provo,
almen qualche conforto in te ritrovo.
(Parte)
NORFOLK
(Solo)
Stelle! T’inganni.
Ah! Meglio
saria stato per te chieder aita
al mar fremente, alle voraci belve,
alle furie d’averno,
che non ad un nemico,
qual ti fui, qual ti son…
(Vedendo giungere Elisabetta)
M’offre vendetta
la total ruina.
(EIisabetta entra)
Recitativo e Duetto
Colmo di duol, Regina,
d’un così lieto dì son io costretto
la gioia a funestarti.
ELISABETTA
Come!
NORFOLK
Oh Dio!
Favellar non poss’io… No; forza tanta
in me non è.
ELISABETTA
Spiegati.
NORFOLK
Orrendo arcano,
misera, udrai… Deh! lascia…
Sì, lasciami tacer.
ELISABETTA
Parla. L’impongo.
NORFOLK
T’ubbidirò.
Leicester…
ELISABETTA
Che! Leicester…
NORFOLK
Avvinto in nodo coniugal…
ELISABETTA
Che parli?
NORFOLK
Il ver.
ELISABETTA
Possibil mai!…
Ah! T’ingannasti.
NORFOLK
No, non m’ingannai.
D’un degli ostaggi sotto finte spoglie
la sua sposa si asconde;
l’accompagna il germano…
Ambi son figli…
ELISABETTA
Prosegui… Ohimè!
NORFOLK
Mi manca al dir la voce.
ELISABETTA
Figli di chi?
NORFOLK
Ti nuoce il mio parlar.
ELISABETTA
Tutto saper io voglio.
NORFOLK
Figli a colei, che si t’offese il soglio.
(Elisabetta, a queste ultime parole cade sopra una sedia ed ivi rimane immobile e come fuori di sé. Norfolk, con volto ipocrita, si avvicina)
Perchè mai, destin crudele,
costringesti il labbro mio!…
Ma fedele a te son io
mentre accuso un traditor.
ELISABETTA
Con qual fulmine improvviso
mi percosse irato il ciel!
Qual s’addensa orrendo velo
che mi colma di terror!
NORFOLK
Deh! rammenta…
ELISABETTA
Taci… Oh Dio!
NORFOLK
Pensa al regno!
ELISABETTA
Oh Dio! Mi lascia!
NORFOLK
Sventurata!
ELISABETTA
Fiera ambascia!
NORFOLK
Per te geme questo cor.
ELISABETTA
Lacerar mi sento il cor.
(Fra sè)
Misera! A quale stato
mi riserbò la sorte!
Stato peggior di morte:
Pių fiero non si dà.
NORFOLK
(Fra sè)
Reggimi: in tale stato,
deh: non tradirmi o sorte!
Vada il rivale a morte:
pago il mio cor sarà.
(Ad Elisabetta)
Regina, ormai decidi.
ELISABETTA
Sì, perirà l’indegno.
NORFOLK
(Fra sè)
Sorte, a’ miei voti arridi.
ELISABETTA
Sgombri da me pietà.
A DUE
Quell’alma perfida
non vada altera;
del fallo orribile
la pena avrà.
Fra cento spasimi
l’iniquo pera,
a eterno esempio
d’infedeltá.
(Norfolk parte; entra Guglielmo)
Recitativo
ELISABETTA
Guglielmo, ascolta.
Pronte ad ogni mio cenno, sull’ingresso
sien le reali guardie. Va! Ma pria
qui Leicester invia…
Trattienti…
(Fra sè)
Oh affanno!
Dove io mi sia non so
(Forte)
Di Scozia i paggi tutti raduna in questo loco.
GUGLIELMO
Il cenno vado a compir.
(Parte)
ELISABETTA
(seduta)
Che penso, desolata regina?
A che mai serve
aver doma la Scozia e salvo il trono
se un’infelice io sono?
Sconoscente! Ei pur vide
l’amor d’Elisabetta,
e in laccio coniugal stringer pur volle
della maggior nemica sua la figlia!
Oh delitto!… Ma tremi
l’iniqua coppia. Son regina e amante.
Doppia vendetta… Ecco l’indegno…
Oh istante!
(Leicester viene da un lato; Matilde ed Enrico co’ giovani Scozzesi dall'altro. Leicester, che si sarà presentato con premura, nel vedere la moglie, si ferma ad un tratto; Matilde e Enrico vedendo Leicester fanno lo stesso; Elisabetta riconosce da’ moti e dalla confusione del volto la sua rivale ed il fratello)
LEICESTER
(Fra sè)
Matilde!
MATILDE
(Fra sè)
Oh cielo!
ENRICO
(Fra sè)
Oh incontro!
ELISABETTA
(Fra sè)
E dessa… Oh rabbia!
(Forte)
T'avanza, o duce… A che t’arresti?
Io voglio men sommesso vederti.
Ti è noto che il primo
de’ miei fidi tu sei, che tal ti estimo.
LEICESTER
Regina…
(Fra sè)
Che dirō?
Oh Dio
(Forte)
L’umil tuo servo… a tanta
magnanima bont’a…
(Fra sè)
Mi perdo.
MATILDE
(Fra sè, facendo vedere la propria agitazione)
Oh pena!
ENRICO
(All’orecchio di Matilde)
Germana, ah! ti raffrena.
ELISABETTA
Non prosegui?
(Dopo aver guardato a un tempo Leicester, Matilde ed Enrico)
Eh! lascia omai quell'importun ritegno…
(Fra sè)
Geme, trema l'indegno.
Oh piacer di vendetta!…
(Forte)
Ma coraggio
or ti darà la stessa tua regina.
Vieni, giovane eroe.
MATILDE
Ah!
ELISABETTA
(Al sospiro di Matilde benchè sommesso, si volta a guardarla; poi dice a Leicester:)
Tavvicina.
Se mi serbasti il soglio
al campo dell’onor,
darti mercede io voglio
degna del tuo valor.
(A cenno d’Elisabetta si avanza un guardia; la regina le parla in segreto)
LEICESTER
Donna real, deh! frena
sė generosi accenti…
LEICESTER, MATILDE, ENRICO
(Fra sè)
Oh Dio, resisto appena
a palpiti frequenti
del mio dubbioso cor.
ELISABETTA
(Fra sè)
Benchè fra’ suoi tormenti,
avrà vendetta amor.
(Ritorna la guardia, recando un bacile coperto da un drappo)
LEICESTER
(Fra sè)
Di qual mercè favella
io non comprendo ancor.
ENRICO, MATILDE
(Fra sè)
La mia perversa stella
sempre divien peggiore.
ELISABETTA
(Che avrà furtivamente osservati i moti di Leicester, di Matilde e d’Enrico, ed i loro sguardi d’intelligenza, freme in segreto; si alza, poi, forzando se stessa, dice:)
Eccoti, eroe magnanimo,
d’un grato core il pegno:
te riconosca il regno
per mio consorte e re.
(Scopre il bacile indicato, che contiene lo scettro e la Corona. Leicester ed i suoi congiunti rimangono a tal vista oltremodo confusi ed abbattuti. Elisabetta gode del loro turbamento)
LEICESTER, MATILDE, ENRICO
(Fra sè)
Qual colpo inaspettato
a noi serbava il fato…
Il gelo della morte
tutto s’aduna in me.
ELISABETTA
(Fra sè)
Al colpo inaspettato
che lor serbava il fato
il gelo della morte
impallidir il fe’.
(Dopo qualche pausa)
Duce, in tal guisa accogli
d’una regina il dono?
LEICESTER
(Tremante, fra sè)
Oh ciel!
(Forte)
Deh!… Scusa… al trono
vassallo umil non osa…
ELISABETTA
(Fra sè)
Empio!
ENRICO
(Piano a Matilde)
Ti frena.
MATILDE
(Fra sè)
Che affanno!
ELISABETTA
(Fra sè)
Anima rea!
A QUATTRO
(Fra sè)
Spiegar il duol ch’io sento
possibile non è.
(Dopo breve scena muta, in cui andrà crescendo l’agitazione de’ due congiunti e d’Enrico, Elisabetta, non potendo pių raffrenarsi, proromperà come segue)
ELISABETTA
Ah! che più tollerar non poss’io
un vassallo fellon, menzoniero.
Or la benda dileguisi al vero:
ecco l’empia che infido ti fa.
(Nel dire queste ultime parole, corre a Matilde, la prende per un braccio, trascinandola nel mezzo della scena)
LEICESTER
(Fra sè)
Che mai vedo!
MATILDE
(Fra sè)
Deliro!
ENRICO
(Fra sè)
Son desto!
A TRE
(Fra sè)
Disvelato è l’arcano funesto…
(Ad Elisabetta)
Ah! regina, perdono, pietà.
(Cadono a ginocchio a’ piedi di Elisabetta)
ELISABETTA
Guardie, olà!
(Entrano Guglielmo, guardie, cavalieri e dame)
Quegl’indegni sien serbati al mio giusto furore.
(Fra sè)
Sol di rabbia si pasce il mio cuore; sol vendetta conforto gli dà.
GUGLIELMO,CORO
Come!… il duce! l’eroe vincitore!…
Oh stupor!… Giusto ciel! che mai sarà?
LEICESTER, MATILDE, ENRICO
Schermo siam d’un perverso destino…
ELISABETTA
Traditori, fremete a’ miei sdegni.
LEICESTER
Sposa…
MATILDE
Sposo…
GUGLIELMO E CORO
Sposi!
ENRICO
(Abbracciando Matilde)
Germana…
ELISABETTA
Sien disvelti l’un l’altro dal seno.
LEICESTER, MATILDE, ENRICO
Ah, regina, perdono, pietà.
(Vengono a forza separati)
ELISABETTA
(Fra sè)
Sol si pasce il mio cor di veleno:
sol vendetta conforto gli dà.
CORO
Fatal giorno! Impresata ruina!
Surse il sole sereno, ridente -
Or declina - turbato, languente
e di lutto coprendo si va.
(Le guardie conducono a forza i congiunti da parti opposte ed ognuno confusamente ritirasi)