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PROLOGO

(L'antro de L'eternità)

▼LA NATURA▲
Alme pure, e volanti,
che dal giro,
che forma il serpe eterno
annodando i principi,
uscir dovete,
scese, giuste sedete,
fatte aurighe, al governo
de corpi misti,
e post'il freno al senso,
i spazi della vita
correte illustri,
acciò virtù su 'l dorso
qui vi ritorni,
terminato il corso.

▼L'ETERNITÀ▲
Chi qua sale
immortale vive vita infinita,
divinizza la Natura.
Ma sassosa
faticosa è la via,
che qui invia,
è la strada alpestra, e dura.

▼LA NATURA E L'ETERNITÀ▲
Il colle d'Alcide
conduce quassù
eccelsa virtù
a quest'alta cima i spirti sublima.

▼IL DESTINO▲
Gran madre, ottima duce,
antica augusta
produttrice ferace
di ciò, che dentro gl'elementi ha vita;
perché resti scolpita
nell'antro adamantino
tua nobile fattura
quivi ascende il Destino.

▼LA NATURA▲
Immutabil garzone
più vecchio di Saturno e più di me,
entra, che 'l varco non si vieta a te.

▼IL DESTINO▲
Diva, che eterni, e divi
con stellati caratteri nel foglio
del sempiterno i nomi
noti, e scrivi; dal serpentino
tuo sferico foglio
eternizza Calisto.
Al firmamento,
nova forma s'accresca,
ed ornamento.

▼L'ETERNITÀ▲
Chi la chiama alle sfere?
Qual merto l'immortala?

▼IL DESTINO▲
Il mio volere.
Non si chiede ragione
di ciò, che 'l fato termina, e dispone,
sono i decreti miei
arcani anco agli dèi.

▼L'ETERNITÀ, NATURA, DESTINO▲
Calisto alle stelle.
Di rai scintillanti
i vaghi sembianti
s'adornino eterni.
Ai poli superni
s'accreschin fiammelle.
Calisto alle stelle.



ATTO PRIMO

Scena Prima

(Selva arida)

▼GIOVE▲
Del foco fulminato,
non stempraro le fiamme
delle sfere i zaffiri;
ogn'orbe è intero.
Ben l'infimo emisfero
serba caldi vapori, ancora ardente,
già la terra languente
con mille bocche, e mille,
chiede, febbricitante, alti soccorsi,
abbandonati i corsi
nell'urne lor s'hanno racchiusi i fiumi.
Esalazioni, e fumi
mandano al cielo inariditi i prati,
e sfioriti, e schiomati
vivono a pena i boschi.
Or tocca a noi
ch'avem del mondo,
e provvidenza, e cura
ristorar gl'egri,
e risarcir natura.

▼MERCURIO▲
Tu padre, e tu signore
delle cose composte, ed increate,
tu monarca del tutto,
all'arido, al distrutto.
Dalle cime beate
dell'Olimpo sublime
tornar le pompe prime,
e le sembianze belle
potevi pur senza lasciar le stelle.
Tem'io, che qui disceso,
invece d'apportare al mal ristoro
non uccidi il penante, e in modi novi
non distruggi, e rinnovi
la progenie
de' sassi depravata.
Più che mai scellerata
l'umanità,
tra vizi abominandi,
il folgore disprezza,
e tu ch'il mandi.

▼GIOVE▲
Pria si renda il decoro alla gran madre,
che poscia con le squadre
de' ribelli, e nocenti
di Licaon rinnoverò gl'esempli.
Ma Mercurio, chi viene?
Qual ninfa arciera
in queste parti arriva?
Oh, che luci serene,
più luminose non le vidi mai:

▼MERCURIO▲
Del re è cangiato in lupo,
di Licaone appunto.
Ch'ulula per le selve il suo misfatto
è costei prole illustre, e d'arco armata
segue la faretrata
Cinzia severa, e anch'ella,
rigida quanto bella,
non men del casto, e riverito nume,
della face amorosa aborre il lume.

▼GIOVE▲
Semplici giovanette
votarsi all’infeconda,
e per le selve disumanarsi
in compagnia di belve.

Scena Seconda

▼CALISTO▲
Piante ombrose
dove sono i vostri onori?
Vaghi fiori
dalla fiamma inceneriti,
colli, e liti
di smeraldi già coperti
or deserti
del bel verde, io vi sospiro:
dove giro,
calda, il piede, e sitibonda,
trovo l'onda
rifuggita entro la fonte,
nella fronte
bagnar posso, ho 'l labbro ardente.
Inclemente:
si chi tuona arde la terra?
Non più Giove, ah non più guerra.

▼MERCURIO▲
Dell'offese del foco
la bella ti fa reo.

▼GIOVE▲
Cillenio, ahi che poteo
un raggio di quel bello
la mia divinità render trafitta.
Caramente rubello
al suo fattor, quel viso,
se potessi morir, m'avrebbe ucciso.

▼MERCURIO▲
Scendesti per sanare,
e fisico imperito
l'egra t'inferma:
nel smorzar a pieno
il colpevole ardor, t'accendi il seno
con fiamme di Cocito.

▼CALISTO▲
Da questa scaturigine profusa
son l'acque anco perdute.
Refrigerio, e salute
alle viscere mie chi porgerà?
M'arde fiero calor,
e per me stilla di salubre umor
il torrente, la fonte, il rio non ha.

▼GIOVE▲
Scenderanno da cieli
per ricrearti, o bella
le menti eterne,
e quasi serve a gara
t'arrecheran l'ambrosia, a dèi sì cara.
Vedi della sorgente
in copia scaturir fredd'i cristalli.
Della tua dolce bocca amorosetta,
vaga mia languidetta,
nell'onda uscita immergi i bei coralli.

▼CALISTO▲
Chi sei tu, che comandi
all'acque, o meraviglie alte, inaudite,
e dai lor centri ad irrigar le mandi
le sponde incenerite?

▼GIOVE▲
Chi sa cose maggiori
far con un cenno. Gl'astri, e gl'elementi,
struggendo, rinnovar posso in momenti.
Giove son io, che sceso
dal ciel per medicar la terra, ch'arde,
dal foco de' tuoi rai mi trovo acceso.

▼MERCURIO▲
Arciera vezzosa
ricorri amorosa
di Giove nel sen.
L'Empireo seren
de'dolci tuoi baci
per premio darà.
Delizie veraci
tuo spirto godrà.

▼GIOVE, MERCURIO▲
Di Giove nel sen
arciera vezzosa
ricorri amorosa.

▼CALISTO▲
Dunque Giove immortale,
che protegger dovrebbe,
santo nell'opre, il virginal costume,
acceso a mortal lume,
di deflorar procura
i corpi casti, e render vani i voti
di puri cori,
a Cinzia sua devoti?
Tu sei qualche lascivo, e la natura
sforzi con carmi maghi ad ubbidirti.
Girlandata di mirti
Venere mai non mi vedrà feconda.
Torna, torna quell'onda
nello speco natio,
che bever non vogl'io
de' miracoli tuoi
libidinoso mago.
Resta co' tuoi stupori. Addio mio vago.

Verginella io morir vo'.
Stanza, e nido per Cupido
del mio petto mai farò.
Verginella io morir vo'.
Scocchi amor, scocchi se può
tutte l'armi per piagarmi,
ch'alla fine il vincerò.
Verginella io morir vo'.

Scena Terza

▼GIOVE▲
Come scherne acerbetta
le lusinghe costei del dio sovrano,
e di ridurla amante
l'onnipotenza mia non è bastante,
che libero creai l'animo umano.
Tu Mercurio facondo,
che con detti melati
persuadi, ammorbidisci, or corri, or vola
dietro la fuggitiva
e rendendola priva
del casto orgoglio,
il tuo signor consola.

▼MERCURIO▲
Altro, che parolette
vi vogliono a stemprare
di queste superbette
pertinace 'l rigor. Donna pregata
più si rende ostinata.

▼GIOVE▲
Dunque, che far degg'io
per dar ristoro all'amoroso affanno.

▼MERCURIO▲
Seguire il mio consiglio, usar l'inganno.

▼GIOVE▲
E come?

▼MERCURIO▲
Della figlia,
della silvestre dea prendi l'imago,
e sotto quel sembiante,
amatore ingegnoso,
godi l'amata ascoso
non fuggirà gl'amplessi
la rigida romita
della diva mentita.

▼GIOVE▲
Ben delle frodi sei
artefice sagace, inventor raro.
Potrà il rimedio tuo Mercurio caro,
felicitar gl'amori al re de' dèi.

▼MERCURIO▲
Non s'allontani dalla fonte il passo,
ch'ancora qui verrà questa ritrosa
la sete ardente ad ammorzare al sasso:
fa', ch'ogn'altr'onda, anco dimori ascosa.

▼GIOVE▲
Chiuso in forme mentite
Giuno non saprà già le mie dolcezze,
e se note le fian garrisca in lite,
che sì dolce contento
non lascerei per cento garre, e cento.

Scena Quarta

▼CALISTO▲
Sien mortali, o divini
i lascivi partirò;
ed io, ch'indarno aggiro
sitibonda, anelante
il piè per il contorno
a ber qui l'acque scaturite: e or torno;
oh, come pochi sorsi
del dolce, e freddo umore,
m'estinse con l'ardore
quell'ingordo desio,
che volea diseccar
l'onde d'un rio.
Di questo ghiaccio sciolto
fatto lavacro al volto,
e in lui le braccia immerse,
i bollori del sangue raffreddai.
Grazie alla fonte,
ogni languor sanai.
Non è maggior piacere,
che seguendo le fere
fuggir dell'uomo
i lusinghieri inviti:
tirannie de' mariti
son troppo gravi,
e troppo è il giogo amaro
viver in libertade
è il dolce, il caro.
Di fiori ricamato
morbido letto ho il prato,
m'è grato cibo il mel,
bevanda il fiume.
Dalle canore piume
a formar melodie
tra i boschi imparo.
Viver in libertade
è il dolce, il caro.

Scena Quinta

▼MERCURIO▲
Chi non ti crederebbe
agl'arnesi, alla forma al portamento,
la dèa del ciel d'argento.

▼GIOVE▲
(in Diana)
Ecco l'orgogliosetta
colta incauta ne' lacci.

▼MERCURIO▲
Rispettoso amator
che non l'abbracci?

▼GIOVE▲
(in Diana)
O decoro
del mio coro,
verginella
più, che bella,
tanto lungi alla tua diva?
Di te priva
perdo il lieto
delle prede, e mai m'accheto.

▼CALISTO▲
O Febea
mia gran dèa,
dèa, che impera
alla sfera,
che circonda al foco il giro,
mi partirò
dal tuo lato
belve ree, nume adorato.

▼GIOVE▲
(in Diana)
Or l'amarezza
della dimora,
bella, ristora
con la dolcezza
de' baci tuoi.

▼CALISTO▲
Quanti ne vuoi
te ne darà,
te n' porgerà,
devoto il labbro,
che d'invocare
ha per costume
sempre il tuo nume.

▼GIOVE▲
(in Diana)
In ricovro più ombroso,
in loco più frondoso,
al mormorar, che fa l'umor cadente
di trovata sorgente
più limpida di questa, e più gelata,
a baciarsi le bocche
portiam, seguace amata.

▼CALISTO, GIOVE▲
A baciarsi andiam, sì, sì.
Sien del dì
liete al core
tutte l'ore,
col goderle in dolci paci.
Non s'indugi, a' baci, a' baci.

Scena Sesta

▼MERCURIO▲
Va' pur, va' pur, va' seco,
ch'altro, che suon
de' casti baci, e puri
pubblicherà per la foresta l'eco.
Va' pur, va' pur, va' seco.
Se non giovano,
se non trovano,
le preghiere, e i vostri pianti,
nelle ingrate
adorate cortesia, sentite amanti,
ricorrete alla frode,
ch'ingannatore amante, è quel, che gode.
Le blandizie,
le delizie
di Cupido a ladro ingegno
più condite,
saporite,
son più grate, io ve l'insegno.
Ricorrete alla frode,
ch'ingannatore amante, è quel, che gode.

Scena Settima

(Foresta)

▼ENDIMIONE▲
Improvvisi stupori;
nascono a gara i fiori,
germina il verde, e veste
per l'aride foreste
ogni pianta di fronde
ombrose manto.
Il Ladon, l'Erimanto
sgorgando i chiusi umori,
di novo van precipitosi al mare:
io nelle doglie amare
refrigerio non sento,
e di secche speranze
il verdeggiar dispero;
divorator severo,
mentre, che gode
il mondo i suoi ristori,
mi moltiplica
il foco
in sen gl'ardori.
Solo al correr de' fiumi
corre il mio pianto,
e sempre ho le fiamme
nel cor,
l'acque ne' lumi.
Ma lasso me, che miro?
Se n' viene il mio sospiro.
Serenati o core,
e quelle bellezze,
che spirano asprezze,
furtivo amatore,
contempla, e ristora
con qualche diletto
quel duol, che nel petto
ti cova la morte.
Divina mia sorte
al tuo bel sembiante
respira il penante.

Scena Ottava

▼DIANA▲
Pavide, sbigottite
dalle fiamme piovute
nelle caverne lor, seguaci arciere,
stanno ancora le fere;
onde senza speranza i passi nostri
traccian de' boschi i mostri.

▼LINFEA▲
Costrette dalla sete
verranno al rio corrente,
pria, che nell'occidente,
il luminoso tuo german tramonti.
Sui declivi de' monti,
sui sentieri della selva
attendiamole al varco:
scoccherem pria,
ch'imbruni i strali, e l'arco.

▼DIANA▲
Ohimè, vedo il mio bene,
quel ben per cui beata io vivo in pene.

▼ENDIMIONE▲
Occhi non v'abbagliate
a quei raggi d'argento,
vi prego resistete,
ch'or mediche discrete
mi tolgon quelle luci ogni tormento.

▼DIANA▲
Pastorello gentile
errar per la foresta
fere veduto avresti?

▼ENDIMIONE▲
Colmo di casi mesti,
fisso ne' miei pensieri,
punto da interni morsi,
fatto cieco dal pianto,
belve, diva, non scorsi.

▼DIANA▲
Tu, che la gloria sei dell'Erimanto,
tu, che della mia sfera i volubili moti
dotto investigatore osservi, e noti,
tu nel verde degl'anni,
nutrisci tanti affanni?

▼ENDIMIONE▲
Son martire felice,
e l'anima languendo
adora, e benedice
la cagion del suo male.
Sia la piaga immortale,
come nel petto mio nascer io sento
dalla doglia il contento.

▼DIANA▲
Agl'effetti, che narri
del soave dolore,
il tuo tiranno è Amore.

▼ENDIMIONE▲
Amor, né mi querelo
delle sue rigidezze, e del mio foco
l'origine divina ogn'ora invoco.

▼MERCURIO▲
Da peste cos'impura
infetto questi il seno
sparisca in un baleno.
Di qua 'l piede allontana
servo d'affetto reo,
nemico di Diana.

▼DIANA▲
Come, come costei
interrompe importuna i piaceri miei.
Dura necessità,
rigorosa onestà
vuol, che rigida io sia
verso l'anima mia.

▼MERCURIO▲
A partire anco tardi?
Ti scacceranno i dardi.

▼DIANA▲
Fuggi da casti oggetti
misero affascinato;
de' tuoi sospiri il fiato
non contamini, sozzo, i nostri petti.
Fuggi da casti oggetti.

▼ENDIMIONE▲
Parto, e porto partendo
tacito idolatrante, occulto vago,
fissa nel cor l'imago,
che delle mie fortune
l'orrido rasserena:
lieto nella mia pena
mi udran le piante, gli augelletti, i venti
a formar questi accenti
amante pellegrino
amerò benché fiero, il mio destino.

Scena Nona

▼DIANA▲
Non è crudel ben mio,
chi da sé ti discaccia;
pari fiamma m'accende,
m'al mio destin contende
votata castità.
Va' pur mio foco, va'
che se tu adori il mio divin t'adoro,
e per te, nata eterna, ogn'or mi moro.

▼MERCURIO▲
Come chiude nel petto
costui l'amaro, il dolce,
il tormento, il diletto,
e un strano misto fa d'allegria, e tristo.
Se ne viene Calisto.

Scena Decima

▼CALISTO▲
Piacere maggiore avere non può
un core s'in ciel
andasse volasse,
di quel, che l'alma mia gustò,
ma cosa sia, non so.

▼DIANA▲
Onde cotanto allegra
regia mia verginella?
Ardita nella selva
in aspra, e fiera belva
insanguinasti il dardo, o la quadrella?

▼CALISTO▲
Giubilo immenso, e caro
le dolci labbra tue
nel petto mi stillaro.
Fur pure, o dio, soavi
quei baci, che mi desti o dea cortese,
ma la mia bocca il guiderdon ti rese.

▼DIANA▲
E quando ti baciai?

▼CALISTO▲
Quando? Lucidi rai
or, or lasciaste meco
nel primo orror lo speco,
e in spazio così breve
le dolcezze scordate
delle beltà baciate?

▼LINFEA▲
Impazzita è costei.

▼DIANA▲
Che parli tu di speco,
di dolcezze godute,
di baci dati, e resi?
Vergine più scorretta io non intesi.

▼CALISTO▲
Ohimè forse ti schivi
diletta, amata dèa,
ch'oda, e sappi Linfea
i fruiti piacer, perch'anc'a lei
partecipar tu déi
della tua bocca i favi
sì grati, e sì soavi.
Ti prego non stancare
quei celesti rubini
altre labbra in baciare:
a me serba indefessi
i vezzi, i baci.

▼DIANA▲
Taci lasciva, taci.
Qual, delirio osceno
l'ingegno ti confonde?
Come immodesta, donde
profanasti quel seno
con introdur in lui sì sozze brame!
Qual meretrice infame
può dei tuoi, disonesta,
formar detti peggiori?
Esci dalla foresta,
né più tra i casti, e virginal miei cori
ardisci conversar putta sfrenata:
dal senso lusinghier contaminata;
va' fuggi, e nel fuggir del piede alato
t'accompagni il rossor del tuo peccato.

Scena Undicesima

▼CALISTO▲
Piangete, sospirate
luci dolenti,
spirti innocenti:
allettatrici ingrate
le mie bellezze, ohimè,
mi son rubelle, ed io non so perché.

▼LINFEA▲
Calisto, qual pensiero
t'appanna il senno? Eh torna
della ragion smarrita in sul sentiero.

▼CALISTO▲
Nel vago seno accolta
abbracciata,
fui baciata
più d'una, e d'una volta.
Or la baciante, ohimè,
il bacio nega, ed io non so perché.

Scena Dodicesima

▼LINFEA▲
Interprete mal buona
son di questa libidine,
che l'orme di cupidine
mi sono ancora ignote;
e se ben mi percote
lo stimolo d'amore
dolcemente talora,
l'inesperto mio core,
pure agl'impulsi suoi resisto ancora.
Mah, mah. Lo vorrei dire,
e temo di parlare. Eh chi mi sente?
Così non credo di voler morire.
L'uomo è una dolce cosa,
che sol diletto apporta,
che l'anima conforta;
così mi disse la nutrice annosa.
In legittimo letto
forse provar lo vo'.
Un certo sì mi chiama,
e sgrida un no.
Mi sento intenerire
quand'ho per oggetto
qualche bel giovanetto;
dunque, che volontaria ho da languire?
Voglio, voglio il marito,
che m'abbracci a mio pro.
Al sì m'appiglio, e do ripudio al no.

Scena Tredicesima

▼IL SATIRINO▲
Ninfa bella, che mormora
di marito il tuo genio?
S'il mio sembiante aggradati
in grembo, in braccio pigliami,
tutto, tutto mi t'offerò.

▼MERCURIO▲
Sì ruvido consorte
ch'avessi in letto mai, tolga la sorte.

▼IL SATIRINO▲
Molle come lanugine,
e non pungenti setole
son questi peli teneri,
che da membri mi spuntano:
neppur anco m'adombrano
il mento lane morbide,
ma sulle guance candide
i ligustri mi ridono,
e sopra lor s'innestano
rose vive, e germogliano.
Questa mia bocca gravida
di favi soavissimi,
ti porgerà del nettare.

▼LINFEA▲
Selvaggetto lascivo
ti vedo quel, che sei,
senza, che
t'abbellisci, e ti descrivi,
certo di capra
nato esser tu déi,
ama dunque le capre,
e con lor vivi.

▼IL SATIRINO▲
Io son, io son d'origine
quasi divina, e nobile,
ben tu villana, e rustica
nata esser déi tra gl'asini,
o da parenti simili.
So perché mi ripudia
l'ingorda tua libidine,
perché garzone semplice
mal buono agl'esercizi
di Cupido, e di Venere,
ancor crescente, e picciola
porto la coda tenera.

▼MERCURIO▲
Nelle mandrie ad amar va'
aspetto ferino.
Fanciullo caprino.
Che Narciso, che bel viso,
vuol goder la mia beltà,
nelle mandre ad amar va'.

Scena Quattordicesima

▼PANE▲
Numi selvatici,
custodi, e genii
di boschi mutoli,
sassose orcadi,
umide naiadi,
rozze amadriadi,
disperse, e lacere
le chiome all'aria,
in volti squallidi,
sopra il cadavere
del dio di Menalo
cantate flebili,
la mesta nenia:
amor, ch'è un aspide
con il suo tossico
ha morto il misero.

▼SILVANO▲
Risuscita
sconsolato, e scaccia il torbido.
La tua diva ha 'l petto morbido,
nella fé serpe pestifera
al tuo bene salutifera
la speranza ancor suscita.

▼IL SATIRINO, SILVANO▲
Risuscita
sconsolato, e scaccia il torbido.

▼PANE▲
Conforti deboli
sono i vostri, ch'implacabile,
e fiera vipera
a' miei prieghi è fatta Delia:
né rammentasi
del bel don di lane candide,
che la fe' scendere
dal suo giro argenteo, e lucido,
vezzosa, e fulgida
a baciarmi il labbro rigido,
io temo, e dubito,
che da gotte più piacevoli,
più vaghe, e morbide,
colga il mel delle delizie;
ed io, qui misero
tra singulti amari, e queruli
mi stempro l'anima.

▼SILVANO▲
S'esplori, s'investighi
di questa tua ruvida
l'amore, ch'immagini;
e il vago, che rubati
al core ogni giubilo,
in braccio alla perfida
squarciandolo uccidasi.

▼IL SATIRINO▲
Io per grotte ombrose, e gelide,
io per boschi ignoti, ed orridi,
io per monti ermi, ed altissimi
de' tuoi dubbi, accorto d'indole,
sarò spia, sempre instancabile.

▼PANE▲
Amore aitami,
soccorso chiedoti
e fa', ch'in braccio
torni al mio ghiaccio:
fallo deh pregoti.

▼SILVANO, IL SATIRINO▲
Pane consolati,
ch'in letto morbido
di fiori, il torbido
svanir vedremoti,
Pane coi fremiti
da' morte a' gemiti.

(Escono sei Orsi dalla foresta, e compongono il ballo)
PROLOGO

(L'antro de L'eternità)

LA NATURA
Alme pure, e volanti,
che dal giro,
che forma il serpe eterno
annodando i principi,
uscir dovete,
scese, giuste sedete,
fatte aurighe, al governo
de corpi misti,
e post'il freno al senso,
i spazi della vita
correte illustri,
acciò virtù su 'l dorso
qui vi ritorni,
terminato il corso.

L'ETERNITÀ
Chi qua sale
immortale vive vita infinita,
divinizza la Natura.
Ma sassosa
faticosa è la via,
che qui invia,
è la strada alpestra, e dura.

LA NATURA E L'ETERNITÀ
Il colle d'Alcide
conduce quassù
eccelsa virtù
a quest'alta cima i spirti sublima.

IL DESTINO
Gran madre, ottima duce,
antica augusta
produttrice ferace
di ciò, che dentro gl'elementi ha vita;
perché resti scolpita
nell'antro adamantino
tua nobile fattura
quivi ascende il Destino.

LA NATURA
Immutabil garzone
più vecchio di Saturno e più di me,
entra, che 'l varco non si vieta a te.

IL DESTINO
Diva, che eterni, e divi
con stellati caratteri nel foglio
del sempiterno i nomi
noti, e scrivi; dal serpentino
tuo sferico foglio
eternizza Calisto.
Al firmamento,
nova forma s'accresca,
ed ornamento.

L'ETERNITÀ
Chi la chiama alle sfere?
Qual merto l'immortala?

IL DESTINO
Il mio volere.
Non si chiede ragione
di ciò, che 'l fato termina, e dispone,
sono i decreti miei
arcani anco agli dèi.

L'ETERNITÀ, NATURA, DESTINO
Calisto alle stelle.
Di rai scintillanti
i vaghi sembianti
s'adornino eterni.
Ai poli superni
s'accreschin fiammelle.
Calisto alle stelle.



ATTO PRIMO

Scena Prima

(Selva arida)

GIOVE
Del foco fulminato,
non stempraro le fiamme
delle sfere i zaffiri;
ogn'orbe è intero.
Ben l'infimo emisfero
serba caldi vapori, ancora ardente,
già la terra languente
con mille bocche, e mille,
chiede, febbricitante, alti soccorsi,
abbandonati i corsi
nell'urne lor s'hanno racchiusi i fiumi.
Esalazioni, e fumi
mandano al cielo inariditi i prati,
e sfioriti, e schiomati
vivono a pena i boschi.
Or tocca a noi
ch'avem del mondo,
e provvidenza, e cura
ristorar gl'egri,
e risarcir natura.

MERCURIO
Tu padre, e tu signore
delle cose composte, ed increate,
tu monarca del tutto,
all'arido, al distrutto.
Dalle cime beate
dell'Olimpo sublime
tornar le pompe prime,
e le sembianze belle
potevi pur senza lasciar le stelle.
Tem'io, che qui disceso,
invece d'apportare al mal ristoro
non uccidi il penante, e in modi novi
non distruggi, e rinnovi
la progenie
de' sassi depravata.
Più che mai scellerata
l'umanità,
tra vizi abominandi,
il folgore disprezza,
e tu ch'il mandi.

GIOVE
Pria si renda il decoro alla gran madre,
che poscia con le squadre
de' ribelli, e nocenti
di Licaon rinnoverò gl'esempli.
Ma Mercurio, chi viene?
Qual ninfa arciera
in queste parti arriva?
Oh, che luci serene,
più luminose non le vidi mai:

MERCURIO
Del re è cangiato in lupo,
di Licaone appunto.
Ch'ulula per le selve il suo misfatto
è costei prole illustre, e d'arco armata
segue la faretrata
Cinzia severa, e anch'ella,
rigida quanto bella,
non men del casto, e riverito nume,
della face amorosa aborre il lume.

GIOVE
Semplici giovanette
votarsi all’infeconda,
e per le selve disumanarsi
in compagnia di belve.

Scena Seconda

CALISTO
Piante ombrose
dove sono i vostri onori?
Vaghi fiori
dalla fiamma inceneriti,
colli, e liti
di smeraldi già coperti
or deserti
del bel verde, io vi sospiro:
dove giro,
calda, il piede, e sitibonda,
trovo l'onda
rifuggita entro la fonte,
nella fronte
bagnar posso, ho 'l labbro ardente.
Inclemente:
si chi tuona arde la terra?
Non più Giove, ah non più guerra.

MERCURIO
Dell'offese del foco
la bella ti fa reo.

GIOVE
Cillenio, ahi che poteo
un raggio di quel bello
la mia divinità render trafitta.
Caramente rubello
al suo fattor, quel viso,
se potessi morir, m'avrebbe ucciso.

MERCURIO
Scendesti per sanare,
e fisico imperito
l'egra t'inferma:
nel smorzar a pieno
il colpevole ardor, t'accendi il seno
con fiamme di Cocito.

CALISTO
Da questa scaturigine profusa
son l'acque anco perdute.
Refrigerio, e salute
alle viscere mie chi porgerà?
M'arde fiero calor,
e per me stilla di salubre umor
il torrente, la fonte, il rio non ha.

GIOVE
Scenderanno da cieli
per ricrearti, o bella
le menti eterne,
e quasi serve a gara
t'arrecheran l'ambrosia, a dèi sì cara.
Vedi della sorgente
in copia scaturir fredd'i cristalli.
Della tua dolce bocca amorosetta,
vaga mia languidetta,
nell'onda uscita immergi i bei coralli.

CALISTO
Chi sei tu, che comandi
all'acque, o meraviglie alte, inaudite,
e dai lor centri ad irrigar le mandi
le sponde incenerite?

GIOVE
Chi sa cose maggiori
far con un cenno. Gl'astri, e gl'elementi,
struggendo, rinnovar posso in momenti.
Giove son io, che sceso
dal ciel per medicar la terra, ch'arde,
dal foco de' tuoi rai mi trovo acceso.

MERCURIO
Arciera vezzosa
ricorri amorosa
di Giove nel sen.
L'Empireo seren
de'dolci tuoi baci
per premio darà.
Delizie veraci
tuo spirto godrà.

GIOVE, MERCURIO
Di Giove nel sen
arciera vezzosa
ricorri amorosa.

CALISTO
Dunque Giove immortale,
che protegger dovrebbe,
santo nell'opre, il virginal costume,
acceso a mortal lume,
di deflorar procura
i corpi casti, e render vani i voti
di puri cori,
a Cinzia sua devoti?
Tu sei qualche lascivo, e la natura
sforzi con carmi maghi ad ubbidirti.
Girlandata di mirti
Venere mai non mi vedrà feconda.
Torna, torna quell'onda
nello speco natio,
che bever non vogl'io
de' miracoli tuoi
libidinoso mago.
Resta co' tuoi stupori. Addio mio vago.

Verginella io morir vo'.
Stanza, e nido per Cupido
del mio petto mai farò.
Verginella io morir vo'.
Scocchi amor, scocchi se può
tutte l'armi per piagarmi,
ch'alla fine il vincerò.
Verginella io morir vo'.

Scena Terza

GIOVE
Come scherne acerbetta
le lusinghe costei del dio sovrano,
e di ridurla amante
l'onnipotenza mia non è bastante,
che libero creai l'animo umano.
Tu Mercurio facondo,
che con detti melati
persuadi, ammorbidisci, or corri, or vola
dietro la fuggitiva
e rendendola priva
del casto orgoglio,
il tuo signor consola.

MERCURIO
Altro, che parolette
vi vogliono a stemprare
di queste superbette
pertinace 'l rigor. Donna pregata
più si rende ostinata.

GIOVE
Dunque, che far degg'io
per dar ristoro all'amoroso affanno.

MERCURIO
Seguire il mio consiglio, usar l'inganno.

GIOVE
E come?

MERCURIO
Della figlia,
della silvestre dea prendi l'imago,
e sotto quel sembiante,
amatore ingegnoso,
godi l'amata ascoso
non fuggirà gl'amplessi
la rigida romita
della diva mentita.

GIOVE
Ben delle frodi sei
artefice sagace, inventor raro.
Potrà il rimedio tuo Mercurio caro,
felicitar gl'amori al re de' dèi.

MERCURIO
Non s'allontani dalla fonte il passo,
ch'ancora qui verrà questa ritrosa
la sete ardente ad ammorzare al sasso:
fa', ch'ogn'altr'onda, anco dimori ascosa.

GIOVE
Chiuso in forme mentite
Giuno non saprà già le mie dolcezze,
e se note le fian garrisca in lite,
che sì dolce contento
non lascerei per cento garre, e cento.

Scena Quarta

CALISTO
Sien mortali, o divini
i lascivi partirò;
ed io, ch'indarno aggiro
sitibonda, anelante
il piè per il contorno
a ber qui l'acque scaturite: e or torno;
oh, come pochi sorsi
del dolce, e freddo umore,
m'estinse con l'ardore
quell'ingordo desio,
che volea diseccar
l'onde d'un rio.
Di questo ghiaccio sciolto
fatto lavacro al volto,
e in lui le braccia immerse,
i bollori del sangue raffreddai.
Grazie alla fonte,
ogni languor sanai.
Non è maggior piacere,
che seguendo le fere
fuggir dell'uomo
i lusinghieri inviti:
tirannie de' mariti
son troppo gravi,
e troppo è il giogo amaro
viver in libertade
è il dolce, il caro.
Di fiori ricamato
morbido letto ho il prato,
m'è grato cibo il mel,
bevanda il fiume.
Dalle canore piume
a formar melodie
tra i boschi imparo.
Viver in libertade
è il dolce, il caro.

Scena Quinta

MERCURIO
Chi non ti crederebbe
agl'arnesi, alla forma al portamento,
la dèa del ciel d'argento.

GIOVE
(in Diana)
Ecco l'orgogliosetta
colta incauta ne' lacci.

MERCURIO
Rispettoso amator
che non l'abbracci?

GIOVE
(in Diana)
O decoro
del mio coro,
verginella
più, che bella,
tanto lungi alla tua diva?
Di te priva
perdo il lieto
delle prede, e mai m'accheto.

CALISTO
O Febea
mia gran dèa,
dèa, che impera
alla sfera,
che circonda al foco il giro,
mi partirò
dal tuo lato
belve ree, nume adorato.

GIOVE
(in Diana)
Or l'amarezza
della dimora,
bella, ristora
con la dolcezza
de' baci tuoi.

CALISTO
Quanti ne vuoi
te ne darà,
te n' porgerà,
devoto il labbro,
che d'invocare
ha per costume
sempre il tuo nume.

GIOVE
(in Diana)
In ricovro più ombroso,
in loco più frondoso,
al mormorar, che fa l'umor cadente
di trovata sorgente
più limpida di questa, e più gelata,
a baciarsi le bocche
portiam, seguace amata.

CALISTO, GIOVE
A baciarsi andiam, sì, sì.
Sien del dì
liete al core
tutte l'ore,
col goderle in dolci paci.
Non s'indugi, a' baci, a' baci.

Scena Sesta

MERCURIO
Va' pur, va' pur, va' seco,
ch'altro, che suon
de' casti baci, e puri
pubblicherà per la foresta l'eco.
Va' pur, va' pur, va' seco.
Se non giovano,
se non trovano,
le preghiere, e i vostri pianti,
nelle ingrate
adorate cortesia, sentite amanti,
ricorrete alla frode,
ch'ingannatore amante, è quel, che gode.
Le blandizie,
le delizie
di Cupido a ladro ingegno
più condite,
saporite,
son più grate, io ve l'insegno.
Ricorrete alla frode,
ch'ingannatore amante, è quel, che gode.

Scena Settima

(Foresta)

ENDIMIONE
Improvvisi stupori;
nascono a gara i fiori,
germina il verde, e veste
per l'aride foreste
ogni pianta di fronde
ombrose manto.
Il Ladon, l'Erimanto
sgorgando i chiusi umori,
di novo van precipitosi al mare:
io nelle doglie amare
refrigerio non sento,
e di secche speranze
il verdeggiar dispero;
divorator severo,
mentre, che gode
il mondo i suoi ristori,
mi moltiplica
il foco
in sen gl'ardori.
Solo al correr de' fiumi
corre il mio pianto,
e sempre ho le fiamme
nel cor,
l'acque ne' lumi.
Ma lasso me, che miro?
Se n' viene il mio sospiro.
Serenati o core,
e quelle bellezze,
che spirano asprezze,
furtivo amatore,
contempla, e ristora
con qualche diletto
quel duol, che nel petto
ti cova la morte.
Divina mia sorte
al tuo bel sembiante
respira il penante.

Scena Ottava

DIANA
Pavide, sbigottite
dalle fiamme piovute
nelle caverne lor, seguaci arciere,
stanno ancora le fere;
onde senza speranza i passi nostri
traccian de' boschi i mostri.

LINFEA
Costrette dalla sete
verranno al rio corrente,
pria, che nell'occidente,
il luminoso tuo german tramonti.
Sui declivi de' monti,
sui sentieri della selva
attendiamole al varco:
scoccherem pria,
ch'imbruni i strali, e l'arco.

DIANA
Ohimè, vedo il mio bene,
quel ben per cui beata io vivo in pene.

ENDIMIONE
Occhi non v'abbagliate
a quei raggi d'argento,
vi prego resistete,
ch'or mediche discrete
mi tolgon quelle luci ogni tormento.

DIANA
Pastorello gentile
errar per la foresta
fere veduto avresti?

ENDIMIONE
Colmo di casi mesti,
fisso ne' miei pensieri,
punto da interni morsi,
fatto cieco dal pianto,
belve, diva, non scorsi.

DIANA
Tu, che la gloria sei dell'Erimanto,
tu, che della mia sfera i volubili moti
dotto investigatore osservi, e noti,
tu nel verde degl'anni,
nutrisci tanti affanni?

ENDIMIONE
Son martire felice,
e l'anima languendo
adora, e benedice
la cagion del suo male.
Sia la piaga immortale,
come nel petto mio nascer io sento
dalla doglia il contento.

DIANA
Agl'effetti, che narri
del soave dolore,
il tuo tiranno è Amore.

ENDIMIONE
Amor, né mi querelo
delle sue rigidezze, e del mio foco
l'origine divina ogn'ora invoco.

MERCURIO
Da peste cos'impura
infetto questi il seno
sparisca in un baleno.
Di qua 'l piede allontana
servo d'affetto reo,
nemico di Diana.

DIANA
Come, come costei
interrompe importuna i piaceri miei.
Dura necessità,
rigorosa onestà
vuol, che rigida io sia
verso l'anima mia.

MERCURIO
A partire anco tardi?
Ti scacceranno i dardi.

DIANA
Fuggi da casti oggetti
misero affascinato;
de' tuoi sospiri il fiato
non contamini, sozzo, i nostri petti.
Fuggi da casti oggetti.

ENDIMIONE
Parto, e porto partendo
tacito idolatrante, occulto vago,
fissa nel cor l'imago,
che delle mie fortune
l'orrido rasserena:
lieto nella mia pena
mi udran le piante, gli augelletti, i venti
a formar questi accenti
amante pellegrino
amerò benché fiero, il mio destino.

Scena Nona

DIANA
Non è crudel ben mio,
chi da sé ti discaccia;
pari fiamma m'accende,
m'al mio destin contende
votata castità.
Va' pur mio foco, va'
che se tu adori il mio divin t'adoro,
e per te, nata eterna, ogn'or mi moro.

MERCURIO
Come chiude nel petto
costui l'amaro, il dolce,
il tormento, il diletto,
e un strano misto fa d'allegria, e tristo.
Se ne viene Calisto.

Scena Decima

CALISTO
Piacere maggiore avere non può
un core s'in ciel
andasse volasse,
di quel, che l'alma mia gustò,
ma cosa sia, non so.

DIANA
Onde cotanto allegra
regia mia verginella?
Ardita nella selva
in aspra, e fiera belva
insanguinasti il dardo, o la quadrella?

CALISTO
Giubilo immenso, e caro
le dolci labbra tue
nel petto mi stillaro.
Fur pure, o dio, soavi
quei baci, che mi desti o dea cortese,
ma la mia bocca il guiderdon ti rese.

DIANA
E quando ti baciai?

CALISTO
Quando? Lucidi rai
or, or lasciaste meco
nel primo orror lo speco,
e in spazio così breve
le dolcezze scordate
delle beltà baciate?

LINFEA
Impazzita è costei.

DIANA
Che parli tu di speco,
di dolcezze godute,
di baci dati, e resi?
Vergine più scorretta io non intesi.

CALISTO
Ohimè forse ti schivi
diletta, amata dèa,
ch'oda, e sappi Linfea
i fruiti piacer, perch'anc'a lei
partecipar tu déi
della tua bocca i favi
sì grati, e sì soavi.
Ti prego non stancare
quei celesti rubini
altre labbra in baciare:
a me serba indefessi
i vezzi, i baci.

DIANA
Taci lasciva, taci.
Qual, delirio osceno
l'ingegno ti confonde?
Come immodesta, donde
profanasti quel seno
con introdur in lui sì sozze brame!
Qual meretrice infame
può dei tuoi, disonesta,
formar detti peggiori?
Esci dalla foresta,
né più tra i casti, e virginal miei cori
ardisci conversar putta sfrenata:
dal senso lusinghier contaminata;
va' fuggi, e nel fuggir del piede alato
t'accompagni il rossor del tuo peccato.

Scena Undicesima

CALISTO
Piangete, sospirate
luci dolenti,
spirti innocenti:
allettatrici ingrate
le mie bellezze, ohimè,
mi son rubelle, ed io non so perché.

LINFEA
Calisto, qual pensiero
t'appanna il senno? Eh torna
della ragion smarrita in sul sentiero.

CALISTO
Nel vago seno accolta
abbracciata,
fui baciata
più d'una, e d'una volta.
Or la baciante, ohimè,
il bacio nega, ed io non so perché.

Scena Dodicesima

LINFEA
Interprete mal buona
son di questa libidine,
che l'orme di cupidine
mi sono ancora ignote;
e se ben mi percote
lo stimolo d'amore
dolcemente talora,
l'inesperto mio core,
pure agl'impulsi suoi resisto ancora.
Mah, mah. Lo vorrei dire,
e temo di parlare. Eh chi mi sente?
Così non credo di voler morire.
L'uomo è una dolce cosa,
che sol diletto apporta,
che l'anima conforta;
così mi disse la nutrice annosa.
In legittimo letto
forse provar lo vo'.
Un certo sì mi chiama,
e sgrida un no.
Mi sento intenerire
quand'ho per oggetto
qualche bel giovanetto;
dunque, che volontaria ho da languire?
Voglio, voglio il marito,
che m'abbracci a mio pro.
Al sì m'appiglio, e do ripudio al no.

Scena Tredicesima

IL SATIRINO
Ninfa bella, che mormora
di marito il tuo genio?
S'il mio sembiante aggradati
in grembo, in braccio pigliami,
tutto, tutto mi t'offerò.

MERCURIO
Sì ruvido consorte
ch'avessi in letto mai, tolga la sorte.

IL SATIRINO
Molle come lanugine,
e non pungenti setole
son questi peli teneri,
che da membri mi spuntano:
neppur anco m'adombrano
il mento lane morbide,
ma sulle guance candide
i ligustri mi ridono,
e sopra lor s'innestano
rose vive, e germogliano.
Questa mia bocca gravida
di favi soavissimi,
ti porgerà del nettare.

LINFEA
Selvaggetto lascivo
ti vedo quel, che sei,
senza, che
t'abbellisci, e ti descrivi,
certo di capra
nato esser tu déi,
ama dunque le capre,
e con lor vivi.

IL SATIRINO
Io son, io son d'origine
quasi divina, e nobile,
ben tu villana, e rustica
nata esser déi tra gl'asini,
o da parenti simili.
So perché mi ripudia
l'ingorda tua libidine,
perché garzone semplice
mal buono agl'esercizi
di Cupido, e di Venere,
ancor crescente, e picciola
porto la coda tenera.

MERCURIO
Nelle mandrie ad amar va'
aspetto ferino.
Fanciullo caprino.
Che Narciso, che bel viso,
vuol goder la mia beltà,
nelle mandre ad amar va'.

Scena Quattordicesima

PANE
Numi selvatici,
custodi, e genii
di boschi mutoli,
sassose orcadi,
umide naiadi,
rozze amadriadi,
disperse, e lacere
le chiome all'aria,
in volti squallidi,
sopra il cadavere
del dio di Menalo
cantate flebili,
la mesta nenia:
amor, ch'è un aspide
con il suo tossico
ha morto il misero.

SILVANO
Risuscita
sconsolato, e scaccia il torbido.
La tua diva ha 'l petto morbido,
nella fé serpe pestifera
al tuo bene salutifera
la speranza ancor suscita.

IL SATIRINO, SILVANO
Risuscita
sconsolato, e scaccia il torbido.

PANE
Conforti deboli
sono i vostri, ch'implacabile,
e fiera vipera
a' miei prieghi è fatta Delia:
né rammentasi
del bel don di lane candide,
che la fe' scendere
dal suo giro argenteo, e lucido,
vezzosa, e fulgida
a baciarmi il labbro rigido,
io temo, e dubito,
che da gotte più piacevoli,
più vaghe, e morbide,
colga il mel delle delizie;
ed io, qui misero
tra singulti amari, e queruli
mi stempro l'anima.

SILVANO
S'esplori, s'investighi
di questa tua ruvida
l'amore, ch'immagini;
e il vago, che rubati
al core ogni giubilo,
in braccio alla perfida
squarciandolo uccidasi.

IL SATIRINO
Io per grotte ombrose, e gelide,
io per boschi ignoti, ed orridi,
io per monti ermi, ed altissimi
de' tuoi dubbi, accorto d'indole,
sarò spia, sempre instancabile.

PANE
Amore aitami,
soccorso chiedoti
e fa', ch'in braccio
torni al mio ghiaccio:
fallo deh pregoti.

SILVANO, IL SATIRINO
Pane consolati,
ch'in letto morbido
di fiori, il torbido
svanir vedremoti,
Pane coi fremiti
da' morte a' gemiti.

(Escono sei Orsi dalla foresta, e compongono il ballo)
最終更新:2021年06月15日 11:58