ATTO QUINTO
Scena Prima
(La scena si cangia in inferno.Ombra d'Eutyro, Coro di anime infernali, Ombre delle antiche vittime di Ercole: Clerica, Laomedonte, Busiris)
▼EUTYRO▲
Come solo ad un grido,
che giunto a pena d'Acheronte al lido
formai, vi radunate anime ardite?
Su, così pur contro il comun nemico
vostro furore alla mia rabbia unite,
che più dunque si aspetta?
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
▼CORO▲
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
▼CLERICA▲
Pera mora l'indegno
di cui più scelerato unqua non visse,
che del troiano eccidio ancor fumante
non mai sazio di sangue
i miei poveri figli, e me trafisse,
o bella gloria in vero
d'un uccisor di mostri,
impiegare il vigore
con cui d'aver si vanta
sostenute le stelle
contro teneri parti, e madre imbelle.
Ah ver un chiostro
più fiero mostro
di lui non ha.
E se il crudel
per nostro ufficio
oggi cadrà
mai sacrificio
più grato al ciel
altri fe', né mai farà.
Che più dunque si aspetta?
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
▼CORO▲
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
▼LAOMEDONTE▲
Pera mora il perverso
che d'un sol atto di pietà, che mai
tra le barbarie sue contar potesse,
qual mercenario vile
richiedendone il prezzo
ne contenti assai tosto
gl'avidi suoi desir quanto malvagi,
si pagò col mio sangue, e mille stragi.
Su su sbranamolo,
su laceramolo
giustizia il vol,
paghi egl'ancor
l'altrui dolor
col proprio duol.
Che più dunque s'aspetta?
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
▼CORO▲
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
▼BUSIRIS▲
Pera mora l'iniquo,
che dell'etereo Giove,
ingratissimo al pari,
ch'in legittimo figlio,
di sacerdoti, e vittime più degne,
con sacrilega man spogliò l'altari.
Pera l'abominevole; ma pera
della più cruda morte,
che per esempio eterno,
inventar possa mai l'irato inferno?
Quanti mai strazii,
nei negri spazii,
Pluto adunò
tutti s'unischino,
e assalischino,
chi ne svenò:
che più dunque s'aspetta?
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
▼CORO▲
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
▼EUTYRO▲
Se nel terrestre mondo
per iniquo favor d'ingiusti cielo
il suo corporeo velo
alla nostra mortal spoglia prevalse,
ad onta del suo orgoglio al fine impari,
che di sdegno,
e di forze ogn'alma è pari.
Che? Se più lo lasciamo
respirar impunito
in pace, e tirannia l'aure vitali,
crederà con ragione,
che sian di timid'ombre, e neghittose
i regni di Pluton tane oziose.
Su, su dunque ombre terribili
su voliam tutte in Ecalia,
nuova in ciel schiera stimfalia
contra il reo furie invisibili,
e con le vipere
onde Tesifone
tormenta l'anime
flagellamogli il cor;
fin ch'immenso dolor
con angoscie rabbiose il renda esanime.
▼CORO▲
Su, su dunque all'armi, su, su,
su corriamo a vendicarci,
ch'altro ben non può mai darci
il destino di quaggiù.
E che giova assordar quest'antri più
con il vano rumor de' nostri carmi?
Su, su dunque
all'armi, all'armi.
▼EUTYRO▲
Ah più val più diletta,
che quante gioie ha il ciel una vendetta.
▼CORO▲
Ah più val più diletta,
che quante gioie ha il ciel una vendetta.
Scena Seconda
(La scena si cangia in un portico del tempio di Giunone Pronuba. Ercole, Iole, Licco, Deianira, Coro di sacerdoti di Giunone Pronuba)
▼ERCOLE▲
Alfine il ciel d'Amorper me si serenò,
e i nembi di rigor,
in gioie distemprò,
sol nel mio cor pur sento
un soave martir,
ch'abbia per gir più lento
dati il tempo i suoi vanno al mio desir.
Ma pur l'amata Iole
l'adorato mio sole ecco a me viene,
dunque affatto il mio sen sgombrate o pene,
che di sì rigid'alma
qual si sia la vittoria io n'ho la palma,
e l'ardente mio spirto
pospon tutti i suoi lauri
a un sì bel mirto.
▼LICCO▲
(a Iole)
Quando com'è tuo uffizio,
dar quella veste ad Ercole dovrai
per far di nozze tali il sagrifizio,
quest'altra in vece, il cui valor ben sai?
Destramente da me prender potrai.
▼IOLE▲
Così farò: ma che? per diffidenza
di rimedio sì incerto, ho il sen ripieno
di gelosa temenza.
Pur quando mi tradisca ogn'altro scampo,
soccorso mi darà pronto veleno.
▼ERCOLE▲
Deh non muovere Ioleil piè restio,
ver chi dominator del mondo intero
solo in goder dell'alma tua l'impero
pon la felicità del suo desio.
E il sacro concento
sciolgasi mai, ch'a me di tali indugi
grado è d'immensa pena
ogni momento.
▼CORO▲
Pronuba, e casta déa
l'alme de nuovi sposi
con lacci avventurosi
annoda, e bea.
E quieta, e gioconda
da' lor nestorea vita,
e gl'amplessi feconda
con progenie infinita.
▼ERCOLE▲
E di che temi, Iole,
e di che tremi?
▼IOLE▲
Ecco il mio viver giunto
a un formidabil punto.
▼ERCOLE▲
Deh su porgimi ardita
la veste, ond'io ben tosto
per i nostri imenei
renda olocausto a i déi.
▼CORO▲
Pronuba, e casta déa
l'alme de nuovi sposi
con lacci avventurosi
annoda, e bea.
E quieta, e gioconda
da' lor nestorea vita,
e gl'amplessi feconda
con progenie infinita.
▼ERCOLE▲
(dopo aver indossato la tunica)
Ma qual pungente arsura
la mia ruvida scorza intorno assale?
Qual incognito male
d'offendermi temendo
serpe nascoso per le vene al core?
Qual immenso dolore, ahi mi conquide?
E per dar morte a me tanto più dura
in vista de' contenti, oh dio, m'uccide?
E tu lo soffri, o genitore? E lasci,
ch'io, che con piè temuto
passeggiai della morte i regni illeso,
e che fin dalla cuna
di belle glorie adorni
tutti contai della mia vita i giorni,
or senz'avere a fronte
sanguinoso nemico (ah rio martire,
che della morte ancor vieppiù m'accora)
in ozio vil qui mora?
Senza che gloria alcuna
renda almen di me degno il mio morire.
Almen di nubi oscure
vela quest'aria in torno
sì che sorte maligna
di me grato spettacolo non faccia
all'implacabil mia cruda matrigna;
e per quando la tua
insensata pigrizia,
(oh gran tonante)
il conquasso destina
dell'universo, ohimè, s'ora nol fai?
E a che riserbi il cielo?
Che nel perder Alcide a perder vai?
Ma l'atroce mia doglia
imperversando ogn'or pochi respiri
mi lascia più, deh s'il morire è forza,
ardasi la mia spoglia
né della terra, i di cui figli uccisi
s'esponga un rifiuto:
a dio, cielo, a dio Iole,
eccomi Pluto.
▼LICCO▲
Che dite? Il mio non fu rimedio tardo,
ma un poco più (ch'io non credea) gagliardo.
Pur ciascuna di voi di già rimira
il penoso destin per sé finito
d'un amante importun, d'un reo marito.
E non piagete già,
che comunque ch'avvenga a un saggio core
dar non si può qui giù sorte migliore:
che di vivere in pace, e libertà.
▼IOLE▲
Qual tra perigli estremi
di strepitose, e orride rovine
un ch'è salvato a forte
stupido resta, sì rimasi anch'io
senza moto, né voce; ah perché dunque
Hylloil mio caro ben, perché morto?
▼DEIANIRA▲
Ah Nesso mi tradì, deh ti perdoni
o Licco il ciel l'involontario errore;
a dolor su doloreegualmente infinito
più resister non so,
mostrami o morte
e del figlio la traccia, e del consorte.
Ma che?
l'ombra del figlio
ecco ch'ad incontrarmi
ver me riede pietosa.
Scena Terza
(Iole, Deianira, Licco, Hyllo)
▼IOLE▲
Veggio, o di veder parmi?
Non atteso contento?
Ah che dar fede
a gl'occhi il cor non osa.
▼DEIANIRA▲
Oh che opportun ristoro?
▼LICCO▲
Oh che spavento!
▼IOLE▲
Hyllo?
▼DEIANIRA▲
Figlio?
▼DEIANIRA, IOLE▲
Sei tu?
▼HYLLO▲
Mercè di Giuno
son'io dal mar salvato
acciò per gl'occhi miei
versi in un mar di pianto il cor temprato.
Se qual ridirlo intendo
vero è del caro padre il fato orrendo.
▼DEIANIRA▲
Ah figlio ahi troppo è ver, che mi rivedi
vedova afflitta, e sola.
▼IOLE▲
Pur mio ben ti consola,
che se perdesti il genitor crudele
me qui ritrovi, e l'amor mio fedele.
▼HYLLO▲
Ah dunque il ciel non seppe
farmi teco felice?
Senza misero farmi, e sventurato
con la mia genitrice?
▼LICCO▲
Oh ben tornato.
▼HYLLO▲
Ahi che con forza eguale a un tempo istesso
dà gioia, e dà dolore
tratto in contrarie parti
sento squarciarmi il core.
▼DEIANIRA▲
Ohimè dunque che fia?
▼LICCO▲
Forz'è che io rida
quel che è stato mai sempre
da che morte impugnò falce omicida,
ch'altri avvien, che si stempre
in pochi, e altri in copiosi lutti.
Ma chi muore suo danno,
che tosto, o tardi si consolan tutti.
▼DEIANIRA▲
Saranno almen le ceneri d'Alcide
le più pompose de' funebri onori
e più sparse di lagrime, e di fiori.
▼HYLLO▲
Certo è che i miei singultinon avran fin.
▼IOLE▲
Ma non fia già che solo
tu pianga amato ben, che se comune
ho teco il cor sia pur comune il duolo.
▼LICCO▲
Or che sorte è la mia?
Che senza averne voglia,
anch'io per compagnia
converrà che mi doglia.
▼DEIANIRA, IOLE, HYLLO, LICCO▲
Dall'occaso a gl'Eoi
ah non sia chi non pianga,
ch'oggi il sol de gl'eroi
estinto, ohimè, rimanga.
Scena Quarta
(Cala Giunone nell'ultima macchina corteggiata dall'armonia de' cieli, e apparisce nella più alta parte di questi Ercole sposato alla Bellezza.)
▼GIUNONE▲
Su, su allegrezza
non più lamenti
deh non più no,
ch'ogni amarezza
il ciel cangiò
tutt'in contenti
tutt'in dolcezza
non più lamenti
su, su, allegrezza.
Non morì Alcide
tergete i lumi
non morì no,
su nel ciel ride,
che lo sposò
il re de' numi
alla bellezza
tergete i lumi
su, su, allegrezza.
Così deposti alfin
gl'umani affetti
così l'alma purgata
d'ogni rea gelosia
ciò che qui giù sdegnò, lassù desia.
Quindi ammorzati anch'io gl'antichi sdegni
per il vostro godere:
a me sì glorioso
contenti, ch'egli goda in su le sfere
un beato riposo.
(a Hylo y Iole)
Onde a compire ogni desio celeste
sol de' vostri imenei
mancan le feste.
Su dunque a i giubili
anime nubili
e felicissimi
i miei dolcissimi
nodi insolubili
al par d'amor v'allaccino,
e nelle vostre destre i cor s'abbraccino.
Se a pro d'un vero amore il giusto Giove
meraviglie non fa,
a che riserberà sue maggior prove?
▼IOLE, HYLLO▲
Oh déa come n'arrequi.
▼DEIANIRA▲
Ch'a i detti tuoi
non lice a noi
fede negar né ossequi
oh déa come n'arrequi.
▼IOLE, HYLLO▲
Che dolci gioie oh déa
versi nel nostro seno,
il ciel benigno a pieno
che più dar ne potea?
Che dolci gioie oh déa.
▼LICCO▲
Come a tante rovine
succeduto ad un tratto è un tanto bene
in fatti è ver qui giù danzano in giro
e si tengon per man contenti, e pene.
▼GIUNONE, DEIANIRA, IOLE, HYLLO, LICCO▲
Contro due cor ch'avvampano
tra loro innamorati
in van del ciel s'accampano
per guerreggiar i fati.
Da lega d'amore
fia vinto il furore
d'ogni contraria sorte:
d'un reciproco amor nulla è più forte.
Ballet
Scena Quinta
(Ercole, la Bellezza, Coro di pianeti.)
▼CORO▲
Quel grand'eroe, che già
laggiù tanto penò
sposo della beltà
per goder nozze eterne al ciel volò!
Virtù, che soffre alfin mercede impetra
e degno campo a' suoi trionfi è l'Etra.
Ballet
▼BELLEZZA, ERCOLE▲
Così un giorno avverrà con più diletto,
che della Senna in su la riva altera
altro gallico Alcide arso d'affetto
giunga in pace a goder bellezza ibera;
ma noi dal ciel traem viver giocondo
e per tal coppia
sia beato il mondo.
▼BELLEZZA▲
Gioie, accorrete numerose
poichè voi ben sapete
come rendere un cuore felice
La bella età è efimera
e anche voi posserete, come il tempo.
Accompagnate sempre il reale Imeneo
Siete fatte per lui cosi come lui
e fatto per voi.
Conservate l'ardore che Amore vi donò
e non scemi la vostra dolcezza
affinché siate sempre benvenute.
▼TUTTI▲
Virtù che soffre
alfin mercede impetra
e degno campo a' suoi trionfi è l'Etra.
Ballet
(Le varie influenze di sette Pianeti scendono sul palcosuccessivamente a danzare, e in fine anche un Coro di stelle)
ATTO QUINTO
Scena Prima
La scena si cangia in inferno.Ombra d'Eutyro, Coro di anime infernali, Ombre delle antiche vittime di Ercole: Clerica, Laomedonte, Busiris
EUTYRO
Come solo ad un grido,
che giunto a pena d'Acheronte al lido
formai, vi radunate anime ardite?
Su, così pur contro il comun nemico
vostro furore alla mia rabbia unite,
che più dunque si aspetta?
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
CORO
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
CLERICA
Pera mora l'indegno
di cui più scelerato unqua non visse,
che del troiano eccidio ancor fumante
non mai sazio di sangue
i miei poveri figli, e me trafisse,
o bella gloria in vero
d'un uccisor di mostri,
impiegare il vigore
con cui d'aver si vanta
sostenute le stelle
contro teneri parti, e madre imbelle.
Ah ver un chiostro
più fiero mostro
di lui non ha.
E se il crudel
per nostro ufficio
oggi cadrà
mai sacrificio
più grato al ciel
altri fe', né mai farà.
Che più dunque si aspetta?
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
CORO
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
LAOMEDONTE
Pera mora il perverso
che d'un sol atto di pietà, che mai
tra le barbarie sue contar potesse,
qual mercenario vile
richiedendone il prezzo
ne contenti assai tosto
gl'avidi suoi desir quanto malvagi,
si pagò col mio sangue, e mille stragi.
Su su sbranamolo,
su laceramolo
giustizia il vol,
paghi egl'ancor
l'altrui dolor
col proprio duol.
Che più dunque s'aspetta?
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
CORO
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
BUSIRIS
Pera mora l'iniquo,
che dell'etereo Giove,
ingratissimo al pari,
ch'in legittimo figlio,
di sacerdoti, e vittime più degne,
con sacrilega man spogliò l'altari.
Pera l'abominevole; ma pera
della più cruda morte,
che per esempio eterno,
inventar possa mai l'irato inferno?
Quanti mai strazii,
nei negri spazii,
Pluto adunò
tutti s'unischino,
e assalischino,
chi ne svenò:
che più dunque s'aspetta?
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
CORO
Pera mora il crudel,
su su vendetta.
EUTYRO
Se nel terrestre mondo
per iniquo favor d'ingiusti cielo
il suo corporeo velo
alla nostra mortal spoglia prevalse,
ad onta del suo orgoglio al fine impari,
che di sdegno,
e di forze ogn'alma è pari.
Che? Se più lo lasciamo
respirar impunito
in pace, e tirannia l'aure vitali,
crederà con ragione,
che sian di timid'ombre, e neghittose
i regni di Pluton tane oziose.
Su, su dunque ombre terribili
su voliam tutte in Ecalia,
nuova in ciel schiera stimfalia
contra il reo furie invisibili,
e con le vipere
onde Tesifone
tormenta l'anime
flagellamogli il cor;
fin ch'immenso dolor
con angoscie rabbiose il renda esanime.
CORO
Su, su dunque all'armi, su, su,
su corriamo a vendicarci,
ch'altro ben non può mai darci
il destino di quaggiù.
E che giova assordar quest'antri più
con il vano rumor de' nostri carmi?
Su, su dunque
all'armi, all'armi.
EUTYRO
Ah più val più diletta,
che quante gioie ha il ciel una vendetta.
CORO
Ah più val più diletta,
che quante gioie ha il ciel una vendetta.
Scena Seconda
La scena si cangia in un portico del tempio di Giunone Pronuba. Ercole, Iole, Licco, Deianira, Coro di sacerdoti di Giunone Pronuba
ERCOLE
Alfine il ciel d'Amorper me si serenò,
e i nembi di rigor,
in gioie distemprò,
sol nel mio cor pur sento
un soave martir,
ch'abbia per gir più lento
dati il tempo i suoi vanno al mio desir.
Ma pur l'amata Iole
l'adorato mio sole ecco a me viene,
dunque affatto il mio sen sgombrate o pene,
che di sì rigid'alma
qual si sia la vittoria io n'ho la palma,
e l'ardente mio spirto
pospon tutti i suoi lauri
a un sì bel mirto.
LICCO
a Iole
Quando com'è tuo uffizio,
dar quella veste ad Ercole dovrai
per far di nozze tali il sagrifizio,
quest'altra in vece, il cui valor ben sai?
Destramente da me prender potrai.
IOLE
Così farò: ma che? per diffidenza
di rimedio sì incerto, ho il sen ripieno
di gelosa temenza.
Pur quando mi tradisca ogn'altro scampo,
soccorso mi darà pronto veleno.
ERCOLE
Deh non muovere Ioleil piè restio,
ver chi dominator del mondo intero
solo in goder dell'alma tua l'impero
pon la felicità del suo desio.
E il sacro concento
sciolgasi mai, ch'a me di tali indugi
grado è d'immensa pena
ogni momento.
CORO
Pronuba, e casta déa
l'alme de nuovi sposi
con lacci avventurosi
annoda, e bea.
E quieta, e gioconda
da' lor nestorea vita,
e gl'amplessi feconda
con progenie infinita.
ERCOLE
E di che temi, Iole,
e di che tremi?
IOLE
Ecco il mio viver giunto
a un formidabil punto.
ERCOLE
Deh su porgimi ardita
la veste, ond'io ben tosto
per i nostri imenei
renda olocausto a i déi.
CORO
Pronuba, e casta déa
l'alme de nuovi sposi
con lacci avventurosi
annoda, e bea.
E quieta, e gioconda
da' lor nestorea vita,
e gl'amplessi feconda
con progenie infinita.
ERCOLE
dopo aver indossato la tunica
Ma qual pungente arsura
la mia ruvida scorza intorno assale?
Qual incognito male
d'offendermi temendo
serpe nascoso per le vene al core?
Qual immenso dolore, ahi mi conquide?
E per dar morte a me tanto più dura
in vista de' contenti, oh dio, m'uccide?
E tu lo soffri, o genitore? E lasci,
ch'io, che con piè temuto
passeggiai della morte i regni illeso,
e che fin dalla cuna
di belle glorie adorni
tutti contai della mia vita i giorni,
or senz'avere a fronte
sanguinoso nemico (ah rio martire,
che della morte ancor vieppiù m'accora)
in ozio vil qui mora?
Senza che gloria alcuna
renda almen di me degno il mio morire.
Almen di nubi oscure
vela quest'aria in torno
sì che sorte maligna
di me grato spettacolo non faccia
all'implacabil mia cruda matrigna;
e per quando la tua
insensata pigrizia,
(oh gran tonante)
il conquasso destina
dell'universo, ohimè, s'ora nol fai?
E a che riserbi il cielo?
Che nel perder Alcide a perder vai?
Ma l'atroce mia doglia
imperversando ogn'or pochi respiri
mi lascia più, deh s'il morire è forza,
ardasi la mia spoglia
né della terra, i di cui figli uccisi
s'esponga un rifiuto:
a dio, cielo, a dio Iole,
eccomi Pluto.
LICCO
Che dite? Il mio non fu rimedio tardo,
ma un poco più (ch'io non credea) gagliardo.
Pur ciascuna di voi di già rimira
il penoso destin per sé finito
d'un amante importun, d'un reo marito.
E non piagete già,
che comunque ch'avvenga a un saggio core
dar non si può qui giù sorte migliore:
che di vivere in pace, e libertà.
IOLE
Qual tra perigli estremi
di strepitose, e orride rovine
un ch'è salvato a forte
stupido resta, sì rimasi anch'io
senza moto, né voce; ah perché dunque
Hylloil mio caro ben, perché morto?
DEIANIRA
Ah Nesso mi tradì, deh ti perdoni
o Licco il ciel l'involontario errore;
a dolor su doloreegualmente infinito
più resister non so,
mostrami o morte
e del figlio la traccia, e del consorte.
Ma che?
l'ombra del figlio
ecco ch'ad incontrarmi
ver me riede pietosa.
Scena Terza
Iole, Deianira, Licco, Hyllo
IOLE
Veggio, o di veder parmi?
Non atteso contento?
Ah che dar fede
a gl'occhi il cor non osa.
DEIANIRA
Oh che opportun ristoro?
LICCO
Oh che spavento!
IOLE
Hyllo?
DEIANIRA
Figlio?
DEIANIRA, IOLE
Sei tu?
HYLLO
Mercè di Giuno
son'io dal mar salvato
acciò per gl'occhi miei
versi in un mar di pianto il cor temprato.
Se qual ridirlo intendo
vero è del caro padre il fato orrendo.
DEIANIRA
Ah figlio ahi troppo è ver, che mi rivedi
vedova afflitta, e sola.
IOLE
Pur mio ben ti consola,
che se perdesti il genitor crudele
me qui ritrovi, e l'amor mio fedele.
HYLLO
Ah dunque il ciel non seppe
farmi teco felice?
Senza misero farmi, e sventurato
con la mia genitrice?
LICCO
Oh ben tornato.
HYLLO
Ahi che con forza eguale a un tempo istesso
dà gioia, e dà dolore
tratto in contrarie parti
sento squarciarmi il core.
DEIANIRA
Ohimè dunque che fia?
LICCO
Forz'è che io rida
quel che è stato mai sempre
da che morte impugnò falce omicida,
ch'altri avvien, che si stempre
in pochi, e altri in copiosi lutti.
Ma chi muore suo danno,
che tosto, o tardi si consolan tutti.
DEIANIRA
Saranno almen le ceneri d'Alcide
le più pompose de' funebri onori
e più sparse di lagrime, e di fiori.
HYLLO
Certo è che i miei singultinon avran fin.
IOLE
Ma non fia già che solo
tu pianga amato ben, che se comune
ho teco il cor sia pur comune il duolo.
LICCO
Or che sorte è la mia?
Che senza averne voglia,
anch'io per compagnia
converrà che mi doglia.
DEIANIRA, IOLE, HYLLO, LICCO
Dall'occaso a gl'Eoi
ah non sia chi non pianga,
ch'oggi il sol de gl'eroi
estinto, ohimè, rimanga.
Scena Quarta
Cala Giunone nell'ultima macchina corteggiata dall'armonia de' cieli, e apparisce nella più alta parte di questi Ercole sposato alla Bellezza.
GIUNONE
Su, su allegrezza
non più lamenti
deh non più no,
ch'ogni amarezza
il ciel cangiò
tutt'in contenti
tutt'in dolcezza
non più lamenti
su, su, allegrezza.
Non morì Alcide
tergete i lumi
non morì no,
su nel ciel ride,
che lo sposò
il re de' numi
alla bellezza
tergete i lumi
su, su, allegrezza.
Così deposti alfin
gl'umani affetti
così l'alma purgata
d'ogni rea gelosia
ciò che qui giù sdegnò, lassù desia.
Quindi ammorzati anch'io gl'antichi sdegni
per il vostro godere:
a me sì glorioso
contenti, ch'egli goda in su le sfere
un beato riposo.
a Hylo y Iole
Onde a compire ogni desio celeste
sol de' vostri imenei
mancan le feste.
Su dunque a i giubili
anime nubili
e felicissimi
i miei dolcissimi
nodi insolubili
al par d'amor v'allaccino,
e nelle vostre destre i cor s'abbraccino.
Se a pro d'un vero amore il giusto Giove
meraviglie non fa,
a che riserberà sue maggior prove?
IOLE, HYLLO
Oh déa come n'arrequi.
DEIANIRA
Ch'a i detti tuoi
non lice a noi
fede negar né ossequi
oh déa come n'arrequi.
IOLE, HYLLO
Che dolci gioie oh déa
versi nel nostro seno,
il ciel benigno a pieno
che più dar ne potea?
Che dolci gioie oh déa.
LICCO
Come a tante rovine
succeduto ad un tratto è un tanto bene
in fatti è ver qui giù danzano in giro
e si tengon per man contenti, e pene.
GIUNONE, DEIANIRA, IOLE, HYLLO, LICCO
Contro due cor ch'avvampano
tra loro innamorati
in van del ciel s'accampano
per guerreggiar i fati.
Da lega d'amore
fia vinto il furore
d'ogni contraria sorte:
d'un reciproco amor nulla è più forte.
Ballet
Scena Quinta
Ercole, la Bellezza, Coro di pianeti.
CORO
Quel grand'eroe, che già
laggiù tanto penò
sposo della beltà
per goder nozze eterne al ciel volò!
Virtù, che soffre alfin mercede impetra
e degno campo a' suoi trionfi è l'Etra.
Ballet
BELLEZZA, ERCOLE
Così un giorno avverrà con più diletto,
che della Senna in su la riva altera
altro gallico Alcide arso d'affetto
giunga in pace a goder bellezza ibera;
ma noi dal ciel traem viver giocondo
e per tal coppia
sia beato il mondo.
BELLEZZA
Gioie, accorrete numerose
poichè voi ben sapete
come rendere un cuore felice
La bella età è efimera
e anche voi posserete, come il tempo.
Accompagnate sempre il reale Imeneo
Siete fatte per lui cosi come lui
e fatto per voi.
Conservate l'ardore che Amore vi donò
e non scemi la vostra dolcezza
affinché siate sempre benvenute.
TUTTI
Virtù che soffre
alfin mercede impetra
e degno campo a' suoi trionfi è l'Etra.
Ballet
Le varie influenze di sette Pianeti scendono sul palcosuccessivamente a danzare, e in fine anche un Coro di stelle