Scena prima
Camera in casa del Maestro di cappella con cembalo da una parte, spinetta dall'altra, e vari mucchi di spartiti e di carte di musica. Sedie, e in fondo tavola con bottiglie, e bicchieri, e in un angolo mantello appeso, e qualche altro utensile. Maestro di cappella, e Poeta.
MAESTRO
Signor poeta mio,
voi siete un capo ameno;
l'affar né più, né meno
sta come vi dich'io:
il signor conte vuole
che musica e parole
sien fatte in quattro dì.
POETA
Avete inteso male.
Conosco il conte Opizio,
che dar vuol questa festa;
è un uomo di giudizio,
né può venirgli in testa
idea così bestiale,
ridicola così.
MAESTRO
S'ella un po' più m'inquieta,
trovo miglior poeta.
POETA
Caro signor Maestro,
non si comanda all'estro.
Ma cieli! che sproposito!
Un dramma in quattro dì?
MAESTRO
La cosa è arcipossibile,
e deve andar così.
POETA
Con maestri sì ostinati,
io per me divento matto,
nulla credono ben fatto
se non fassi a modo lor.
MAESTRO
Con poeti sì sguaiati,
io per me divento matto,
nulla credono ben fatto
se non fassi a modo lor.
MAESTRO
Vorrei pria condur l'aratro
ch'esser mastro di cappella.
POETA
Meglio è far il pulcinella,
che il poeta di teatro.
POETA E MAESTRO
Che grand'asino che fui!
Accoppar dovea colui,
che mi fe' compositor.
MAESTRO
Or tant'è; decidete: sì, o no.
POETA
Dunque credete che parole, e musica
si possa in quattro dì…
MAESTRO
Circa a la musica
non ve ne date pena, ella è già pronta.
E voi sol vi dovete
le parole adattar.
POETA
Questo è l'istesso,
che far l'abito, e poi
far l'uomo a cui s'adatti.
MAESTRO
Voi signori poeti, siete matti.
Amico, persuadetevi; chi mai
credete che dar voglia attenzione
alle vostre parole?
Musica in oggi, musica ci vuole.
POETA
Ma pure questa musica conviene
ch'esprima il sentimento o male, o bene.
MAESTRO
La mia musica ha questo d'eccellente,
che può adattarsi a tutto egregiamente.
POETA
E gli attori chi son?
MAESTRO
Non so finora,
ma il signor conte Opizio
l'altr'ieri mi parlò d'una famosa
insigne virtuosa,
almen per quanto ei dice, ed io lo credo,
perch'egli, (e questo ancor lo so da lui)
ha un singolar talento musicale.
POETA
I signori san tutto.
MAESTRO
È naturale.
POETA
Avrei a tal proposito da farvi
una proposizion.
MAESTRO
Via dite su.
POETA
Ma non vorrei che ve l'aveste a male.
MAESTRO
Oh, che diavol sarà?
Proposizioni ognuno far le può.
L'affar consiste in accettarle o no.
POETA
Un principe qua c'è
che ha gran bontà per me;
ma un principon coi baffi, il qual vorrebbe
in qualche occasion da farsi onore,
come appunto sarebbe la presente,
al pubblico produrre una ragazza
brava in genere buffo,
ma veramente brava, e di più onesta,
per cui ha molto impegno.
MAESTRO
È amica vostra?
POETA
Sì.
MAESTRO
Cattivo segno.
POETA
Perché?
MAESTRO
Non dico già… ma… son idee.
Ditemi in confidenza,
il vostro signor principe vorrebbe
or con buona maniera uscir d'impegno,
ed accollarla a me; non è così?
Dite il vero.
POETA
Anzi no; ma se riesce,
promette un regaletto
di cento bei zecchini; e voi vedete
che un cento di zecchini a' giorni d'oggi
non è da ricusarsi.
MAESTRO
Io non ricuso
cento zecchini: ma…
POETA
Pian piano, amico:
questi si devon ripartir fra noi;
cioè cinquanta a me, cinquanta a voi.
MAESTRO
Amico: l'interesse
non è la mia passion; ma pur dovreste
pensar che la fatica è tutta mia.
Onde parrebbe giusto,
che la ripartizion far si dovesse
con un po' d'equità distributiva.
POETA
Cioè?
MAESTRO
Per me novanta, e per voi il resto.
POETA
(con ironia)
Cotal ripartimento è molto onesto.
Scena seconda
Eleonora, e detti.
ELEONORA
Deo gratias.
MAESTRO
Venga avanti.
ELEONORA
(entrando)
Chi di voi
è il maestro di cappella?
MAESTRO
Io, per servirla.
ELEONORA
(gravemente)
Riverisco.
MAESTRO
Grand'aria!
POETA
Io non ci son per nulla.
MAESTRO
Ed ella, in grazia?
ELEONORA
Io son donna Eleonora.
MAESTRO
Ah, ella è quella signora
celebre virtuosa,
che il signor conte Opizio…
ELEONORA
Oh, lo conosco.
Gli vo' bene al contino: è un buon figliolo.
POETA
(Sta a vedere che gli accorda
la sua protezion.)
ELEONORA
So che vorrebbe
dare una certa festa teatrale;
si dà appunto per lui la fortunata
combinazion ch'io son disimpegnata.
MAESTRO
Gran sorte senza dubbi, mi figuro
ch'ella avrà fatti de' teatri.
ELEONORA
Oh, certo:
ho fatti tutti quanti i principali
teatri de l'Europa; e ultimamente
in Cadice ho cantato
ove in men di due anni ho guadagnato
mille dobloni in tanti pezzi duri.
MAESTRO
(piano al poeta)
Che sono i pezzi duri?
POETA
Non capisco.
MAESTRO
Dunque pezzi duri eh?
(sorridendo ad Eleonora)
ELEONORA
(spiccando le sillabe)
Sì: pezzi duri.
Non siete mai stato in Ispagna?
MAESTRO
Io no.
ELEONORA
(al poeta)
E voi neppur?
POETA
Neppur.
ELEONORA
Vi compatisco,
là, là, signori miei,
bisogna domandar che gran figura
fece donna Eleonora.
MAESTRO
Oh, non ne dubito.
ELEONORA
L'anticamera mia sempre era piena
di cicisbei, d'amanti,
cavalieri, mercanti… E poi in teatro…
Che folla! Che schiamazzi!
Tutti parevan pazzi,
e molti per udire un paio d'arie
venivano perfin dalle Canarie.
MAESTRO
Il merito, signora, fa gran cose.
POETA
Massimamente nelle virtuose.
ELEONORA
Il pubblico di Cadice
è un pubblico di gusto; immaginatevi,
che un certo mio rondò
nel pubblico destò
un fanatismo universal, di sorte
che in un'istessa sera io lo dovetti
sei volte replicar.
MAESTRO
Questo è un po' forte.
POETA
Come? Sei volte!
ELEONORA
Certo.
POETA
Sei volte, e non seccar; questo è un gran merto.
MAESTRO
Ma mi dica: e qual genere…
ELEONORA
Il gran serio,
il tragico sublime: exempli gratia,
una parte d'Armida, d'Agrippina,
di Poppea, d'Ipermestra, d'Epponina…
MAESTRO
Epponina!
POETA
Epponina!
ELEONORA
Sì.
MAESTRO
Nel Giulio Sabino?
ELEONORA
Appunto quella
l'ho recitata in Cadice.
POETA
Guardate che accidente!
MAESTRO
Ancora qui s'è data ultimamente.
POETA
La parte di Sabino
l'ha fatta un gran cantor.
ELEONORA
Chi?
MAESTRO
Canarino.
ELEONORA
Canarino?
POETA
A questo poi bisogna
cavarsi di cappello.
MAESTRO
Non v'è che dir.
ELEONORA
Se quello
è lo stil, che qui piace, io ve l'imito
sì ben, che ognuno rimarrà stupito.
POETA
Oh, questo è molto dir.
ELEONORA
O molto, o poco,
non servon tante repliche, qualora
parla donna Eleonora.
MAESTRO
(al poeta)
Ell'ha ragione.
(prende, ed apre lo spartito)
Giusto ho qui lo spartito; ed ecco qui
la prima cavatina di Salieri,
che comincia: Pensieri…
Vorrebbe ella far grazia?
ELEONORA
Volentieri.
(canta)
Pensieri funesti
ah no non tornate,
per poco lasciate
in pace il mio cor.
(mentre Eleonora canta, il Poeta l'interrompe)
POETA
Scusi: ma par che si dovria dar qui
maggior espression.
ELEONORA
Come?
POETA
Così.
(fa sconciamente un altro passaggio)
ELEONORA
Chi è questo sguaiato?
MAESTRO
È il poeta.
ELEONORA
Me l'ero immaginato.
MAESTRO
Sapete, amico, che un passaggio istesso
può variarsi spesso.
POETA
O in meglio o in peggio.
ELEONORA
(al Maestro)
Costui è un insolente, a quel ch'io veggio.
MAESTRO
(ad Eleonora)
Lo scusi: ha la comune qualità
di mostrar di saper quel che non sa.
ELEONORA
Orsù, passiamo avanti.
MAESTRO
Vuol l'aria di bravura?
ELEONORA
Sibben.
MAESTRO
Eccola qua: vogliam sentirla
col suo recitativo strumentato?
(voltando lo spartito, e accennando un poco sottovoce il motivo dell'aria)
ELEONORA
Sì; ma per farlo ben, va recitato.
MAESTRO
Oh, meglio.
ELEONORA
In scena son Tito, e Sabino.
(al Poeta)
Ehi! venite un po' qua.
Piantatevi colà.
POETA
Qui?
ELEONORA
Più in là.
POETA
(muta luogo)
Qui?
ELEONORA
Costì.
Mostrate dignità.
POETA
(in positura)
Così?
ELEONORA
(il Poeta cangia positura, Eleonora lo considera, ed approva)
Anche più… così:
statevi fermo lì,
né vi movete, se non ho finito.
Io faccio da Sabino, e voi da Tito. ~
Maestro, già sapete
come, e quando conviensi
l'azione a tempo secondar.
MAESTRO
Non pensi.
(canta il recitativo con azione; e frattanto il Maestro e il Poeta fanno degli atti talvolta d'approvazione e talvolta di critica)
ELEONORA
Non dubitar, verrò: dono più grato
offrir non mi potevi: al grand'invito
sento l'alma avvampar. Vedrai qual uso
farò di quest'acciar: chi sa se mai
più funesto vedesti
d'un'altra spada balenar il lampo:
so quel che dico, e lo vedrai nel campo.
POETA
(interrompendola)
Non sia, signora, per darle molestia.
Qui un contrassenso v'è.
ELEONORA
Siete una bestia.
Di senso me ne intendo più di voi.
POETA
Non saprei.
MAESTRO
Cheto: ognuno ha i sensi suoi. ~
Non gli dia retta, in grazia.
ELEONORA
Taccia, e in riguardo vostro io gli perdono.
MAESTRO
Brava; seguiam: Là tu vedrai chi sono.
(segue a cantare, e in mezzo della scena il Poeta l'interrompe)
ELEONORA
Là tu vedrai chi sono;
no, non ti parlo invano;
fatale è questa mano,
forse chi men la teme
più ne dovrà tremar.
POETA
Oibò oibò.
MAESTRO
Cos'è?
POETA
Ho sentita una brutta alamirè.
MAESTRO
Ma tacete una volta.
ELEONORA
Orsù, alle corte,
se non cessa costui
d'esser con me sì impertinente e ardito,
or or Sabino rompe il muso a Tito.
MAESTRO
(a Eleonora)
Signora, compatitelo: è poeta;
ed apparir vi deve
sempre il lampo poetico.
Ma sentiam, se le aggrada,
qualche pezzo patetico.
POETA
Sì, sì, sentiam.
ELEONORA
Vi posso far la scena
del sotterraneo, in cui
dovendo andare a morte,
Sabino abbraccia i figli, e la consorte.
MAESTRO
Stupenda…
(canticchiando e toccando il cembalo)
Compatite i casi miei.
POETA
Cheto voi, tocca a lei.
MAESTRO
Subito ve la trovo… eccola giusto.
(scartabellando lo spartito)
ELEONORA
È un rondò.
POETA
Un rondò? Ci ho proprio gusto.
Una difficoltà solo ci trovo.
MAESTRO
Or cosa c'è di nuovo?
POETA
Mancano i figuranti.
ELEONORA
Potrete supplir voi.
POETA
Non siamo tanti.
ELEONORA
Voi due farete i figli.
POETA
Oh che bei figliolini!
ELEONORA
Maestro, anche voi qua.
MAESTRO
E chi accompagnerà?
ELEONORA
No no, lasciate stare: in questa scena
molto più necessaria è l'azione.
POETA
E l'accompagnamento si suppone.
MAESTRO
Ed Annio e la consorte?
(levandosi dal cembalo)
ELEONORA
(pensa un poco, poi dice)
Or ci rimedio.
(prende due sedie e le pone in luogo di Epponina e d'Annio)
Sarà Epponina questa,
e questo sarà Annio.
POETA
Oh che gran testa.
ELEONORA
State un vicino all'altro.
POETA E MAESTRO
Eccoci.
(si accostano insieme)
ELEONORA
Bravi.
(posti, che si sono messi insieme, il Maestro comincia a cantare)
MAESTRO
Cari oggetti…
POETA
Chetatevi: Sabino
esser deve un soprano,
e voi parete un toro transilvano.
ELEONORA
Il Poeta ha ragion per questa volta.
MAESTRO
Non fiato più.
ELEONORA
Via, cominciamo: attenti,
state con volto afflitto,
e… zitti.
POETA
Il quadro è un po' buffone.
MAESTRO
(con voce fortissima)
Zitto.
ELEONORA
(comincia il rondò)
Cari oggetti del mio core…
(e non potendo comodamente abbracciare i figli, interrompe il canto, e dice:)
Così non è possibil ch'io vi abbracci.
Voi siete due cosacci,
ritti come due pali, e lunghi, lunghi…
MAESTRO
Che colpa abbiam?
POETA
Vossignoria si slunghi.
ELEONORA
Anzi voi raccorciatevi, accovatevi.
MAESTRO
A questo modo?
(si abbassano)
ELEONORA
Più.
POETA
Non si può andar più giù.
ELEONORA
Potrete un pochettin restar così.
POETA E MAESTRO
Ci proverem.
ELEONORA
Seguo?
POETA E MAESTRO
Signora sì.
ELEONORA
(canta)
Cari oggetti del mio core,
io mai più non vi vedrò;
deh calmate quel dolore,
e contento io morirò…
POETA E MAESTRO
Ed io qui mi storpierò.
ELEONORA
Se non tacete, io più cantar non posso.
MAESTRO
Mi scappa fuori un osso.
POETA
La cintola si strappa.
ELEONORA
Eh, non si strappa no, no che non scappa.
ELEONORA
(canta)
Tu spietato il ciglio appaga.
(voltandosi verso la sedia che figura Annio; allora il Maestro si leva dalla sua positura, va presso alla sedia, e risponde in luogo d'Annio, e poi ritorna al suo posto)
MAESTRO
Son tua colpa i mali tuoi.
ELEONORA
(vedendo il Maestro, sorride, e segue a cantare)
Ma da forte io vado a morte,
ma non curo il tuo furor.
POETA
(ritorna al suo posto)
Caro sposo, oh dio! tu piangi…
ELEONORA
(sorride)
Siete per verità due gran buffoni.
POETA
È virtù l'imitar gli esempi buoni.
(in questo mentre anche il Poeta si leva dalla sua positura, va presso la sedia che rappresenta Epponina, e con voce femminile canta)
ELEONORA
(seguendo a cantare)
Qual abisso è questo mai.
MAESTRO
(stando accovato)
Per pietà, finisca omai.
ELEONORA
(venendo avanti alla scena segue sempre a cantare, più non badando ad essi)
Siete paghi avversi dèi?
POETA
Gran seccata che è costei!
ELEONORA
Compatite i casi miei,
compiangete il mio dolor.
POETA E MAESTRO
Compatite il nostro ancor.
ELEONORA
(replicando sempre senza badare ad essi)
Compatite…
MAESTRO
Casco casco.
ELEONORA
I casi miei…
POETA
Casco anch'io.
ELEONORA
(come sopra)
Compiangete il mio dolor.
(mentre Eleonora canta queste parole, il Maestro ed il Poeta cadono, il Maestro all'indietro ed il Poeta abocca avanti; e finito che ha di cantare Eleonora, essi, contraffacendone il canto, così ripigliano:)
MAESTRO
Compiangete il dorso mio,
che si è fatto un bel tumor.
POETA
(e a 2)
Compiangete il naso mio,
che se è intero, è uno stupor.
ELEONORA
(rivolgendosi)
Cos'avete mai fatto, cos'è stato?
MAESTRO
Ohimè! son direnato.
POETA
Poco mancò non ammaccassi il naso.
(dopo che si sono stentatamente levati)
MAESTRO
Veramente ora mai noi siam nel caso
di far meglio da padri, che da figli.
ELEONORA
Il malan, che vi pigli: orsù, v'ho dato
dell'abilità mia prove bastanti;
voi fate il resto: andarmene poss'io:
attendo a casa la mia parte: addio.
(parte)
Scena terza
Maestro, e Poeta.
MAESTRO
Alfin la prova ha terminato in buffo.
POETA
Io già temea che terminasse in serio.
MAESTRO
Non può però negarsi, che costei
non sia cantante, e comica eccellente.
POETA
E soprattutto per stroppiar la gente.
MAESTRO
Ora non più discorsi.
Non v'è tempo da perdere.
POETA
Lo credo;
quattro dì.
MAESTRO
Così è.
(tirando fuori della carta di musica)
Dunque dovete
trovar primieramente
parole per quest'aria.
POETA
Difficile sarà.
MAESTRO
Oh, non mi state a far difficoltà.
Non si conosce qui.
Otto o dieci anni sono
la composi in Forlì sulle parole:
«Se possono tanto
due luci vezzose»…
Credo, che andrà d'incanto.
La musica è superba,
e deve far del chiasso, e messa bene,
vedrete, che qui ognuno se la becca
per nuova, anzi nuovissima di zecca.
POETA
Son versi di sei sillabe: vediamo.
(osservando e contando le sillabe tira fuori uno scritto)
Giusto un tragico dramma ho per le mani
intitolato: «I vespri siciliani».
MAESTRO
(ponendo l'occhio sullo scritto)
Uh, quanti attor!
POETA
Ne feci
quindici, ma di questi muoion dieci:
cerchiam, se vi è qualche aria al caso nostro.
Eccone una: è bellissima.
(legge)
«Ferma, oh dio! non son francese»…
Vi son di più due sillabe.
MAESTRO
Non c'entra.
Avanti.
POETA
(voltando foglio)
Eccone un'altra.
(legge)
«A che proposito
vuoi tu ammazzarmi?»
Versi di cinque sillabe: passiamola.
Oh questa andrà benissimo.
MAESTRO
Sentiamola.
POETA
(legge con enfasi)
«Se questo mio pianto,
se questo mio canto
ancor non espugna
quel barbaro sen,
via sfodera, impugna
quel ferro spietato,
e questo costato
trafiggimi almen.»
MAESTRO
(confronta l'aria con la musica)
Bravissimo: or va bene…
però mancan due versi.
Aggiungergli conviene.
POETA
Questo sarà un imbroglio.
Piuttosto si potria…
MAESTRO
No: ce li voglio.
POETA
(pensando, cercando il verso)
«Se questo… mio… pianto…
non mi… non ti…» non va.
MAESTRO
Su via coraggio.
POETA
«Il cor…» Eccolo qua.
«Il cor non ti tocca.»
MAESTRO
(scrive)
Ottimamente: «non ti tocca»; all'altro.
POETA
Qui bisogna trovar la rima in occa.
Non ho il rimario addosso;
ma farò come posso.
(cercando la rima)
«Rocca… sciocca…»
MAESTRO
Ben ben.
POETA
«Trabocca… bocca…
Questo canto di bocca.»
MAESTRO
Sì, sì: così va bene.
POETA
«Se questo mio canto
che m'esce di bocca…»
MAESTRO
(scrive)
«…di bocca», è uno stupor: gran cervellaccio!
Quel vostro scartafaccio
datemi intanto, e discorriamo un poco.
Se il vostro signor principe lo brama,
vedo, che non potrem disimpegnarci
di prender questa buffa.
POETA
(Ah! ah! già fatto
hanno i cento zecchini il loro effetto.)
MAESTRO
Ma l'una è buffa, l'altra è seria: or come
potrem metterle insieme?
POETA
Eh, veramente
facil non è.
MAESTRO
Pensateci un tantino:
impasticciate su qualche cosetta.
Via, via, lesto, da bravo.
POETA
In tanta fretta
non si può far nulla di buon.
MAESTRO
Che importa?
Tanta musica ho qui già bell'e fatta;
di farvi le parole sol si tratta.
POETA
Ma possibil vi par?
MAESTRO
Tanto ci vuole
per far quattro parole? ricordatevi
che dée tutto esser fatto in quattro dì.
POETA
E sempre siamo lì.
MAESTRO
Su questo poi
il signor conte Opizio è inesorabile.
Zitto: vediam se qui trovo qualche aria
che possa convenir.
(prende un'aria)
Sentite questa.
(legge)
«Capitan di due sciabecchi
sopra l'alpi guerreggianti»…
POETA
Che sproposito!
MAESTRO
Udite: eccone un'altra.
(prende, e legge un'aria)
«Se prigione andasse il sole,
che sarebbe delle stelle?»
POETA
Peggio assai.
MAESTRO
Troverem delle più belle.
«Per pietà, padrona mia,
per pietà non v'affliggete»…
POETA
Questa potrebbe andar.
MAESTRO
Ebben, tenete:
eccovi carta, calamaio, e penna;
(li accosta ad un tavolino, e gli dà da scrivere)
ponetevi costì a tavolino.
Trovate qualche idea, qualche pensiero
per porli entrambo insieme:
cotest'aria aggiustate,
acciò provar si possa
quando verrà la buffa.
POETA
E così su due piedi…
MAESTRO
Su due piedi, o su tre, convien sbrigarsi.
Su, su, coraggio: intanto
a quest'altr'aria io le parole adatto.
POETA
Ma…
MAESTRO
Spicciatevi voi, che anch'io mio spiccio.
POETA
Un pasticcio si vuol? Sarà un pasticcio.
(si pongono a sedere, il maestro al cembalo, e il poeta al tavolino)
MAESTRO
(col cembalo)
«Se questo mio pianto
il cor non ti tocca»…
Qui v'è fin l'istessa rima,
a puntin tutto convien.
POETA
(pensando)
Quel che comico era prima,
farlo eroico convien.
MAESTRO
«Se questo mio canto
che m'esce di bocca»…
Ciò benissimo confronta
e ne son contento appien.
POETA
Ecco qua l'idea già pronta
e ne son contento appien.
MAESTRO
«Ancor non espugna
quel barbaro sen»…
Io mi sento alquanto sete.
Un sorsetto farà ben.
(va al tavolino, ove son le bottiglie, empie un bicchiere, e beve; poi torna al cembalo)
POETA
Dove leggesi «affliggete»,
«ammazzate»… ed andrà ben.
MAESTRO
(leggendo la scrittura del poeta)
Che carattere bisbetico!
Proprio stizza mi ci vien.
POETA
Ho un cervel proprio poetico,
tutto facile mi vien.
MAESTRO
«Via sfodera, impugna
quel ferro spietato»…
Cosa diavolo qui dice?
POETA
Il pensiero è pur felice!
MAESTRO
Non v'è a dir: dice «castrato».
POETA
Ecco tutto terminato.
Rileggiamolo un pochino.
MAESTRO
Ah! sì sì: Giulio Sabino
è un soprano: or mi sovvien.
«E questo castrato
trafiggimi almen.»
POETA
«Castrato»! cosa diavolo mai dite?
MAESTRO
Dico come sta scritto.
POETA
(sentendo gli ultimi versi cantati dal maestro, si leva e bruscamente se gli accosta)
Oibò! «costato»
sta scritto, e non «castrato».
MAESTRO
«Castrato» va benissimo, e non cangio.
POETA
Eh, che burlate?
MAESTRO
Quel che scrissi, scrissi.
POETA
Ma che? Siete impazzato?
MAESTRO
«Castrato» scrissi, e resterà «castrato».
POETA
E poscia si dirà che fu il poeta
che fe' tal scioccheria.
MAESTRO
Né la prima, né l'ultima saria.
Più a questo non si pensi; ora sentiamo;
cosa avete voi fatto?
POETA
Ho fatto ciò che non parea possibile,
ho buffa, e seria unite
a meraviglia insieme.
MAESTRO
Udiam.
POETA
Sentite.
Fingo una bella, e giovin principessa
sposa, e gravida già d'un figlio maschio.
V'è il solito tiranno,
che già lo sposo ha condannato a morte,
perché ama la consorte,
e al solito non può ridurlo al quia.
MAESTRO
È una bricconeria:
e allor la principessa?
POETA
Piange, prega:
ma quel crudel non piega.
MAESTRO
Poveretta!… sicché?
POETA
Sicché va in stanza, smania, si dispera,
e si vuole ammazzar.
MAESTRO
Ah!
POETA
Certamente:
ma poi non ne fa niente.
Perché la cameriera
allegra, anzi buffona,
ma della sua padrona
confidente primaria,
per divertirla un po', canta quest'aria:
«Per pietà, padrona mia,
per pietà non v'ammazzate,
ch'è una gran minchioneria.
Queste sono ragazzate,
e può farsene di men.»
MAESTRO
Bravo!
POETA
Sentite il resto.
«Deh lasciate che si ammazzi
qualche brutta, o scioccherella;
ché l'uccidersi è da pazzi,
sia col ferro, o col velen.»
MAESTRO
Graziosa in verità.
POETA
Mo viene il buono.
«Voi dovete star nel mondo,
voi, che siete savia e bella,
voi, che avete il sen fecondo,
voi, che avete un figlio in sen.»
MAESTRO
Superba! superbissima!
POETA
E così?
Non son un uom?
MAESTRO
Quasi direi di sì.
Allegramente dunque.
Ite a prender colei
delli cento zecchini;
conducetela qui,
e si vedrà cos'è.
POETA
Vado: se preme a voi, preme più a me.
(parte)
Scena quarta
Maestro solo.
La cosa va prendendo buona piega.
Eppur questi poeti,
sapendoli dirigere a mio modo,
si potria forse forse
ridurli ad esser buoni a qualche cosa.
Basta sol, che depor voglian la sciocca
idea, che tutto il mondo
deggia far conto delle lor parole.
Eh… ci vuol altro: musica ci vuole.
Ecco un'aria a buon conto: a Eleonora
or or la manderò: vediam quest'altra.
«Per pietà, padrona mia,
per pietà non v'ammazzate»…
(prova al cembalo l'aria -Per pietà- avendo d'un canto la carta ove sono scritti i cangiamenti fattivi dal poeta, e sotto gli occhi la musica)
Ah! ah!… Così… d'incanto,
egregiamente bene:
a le parole il canto
benissimo conviene.
Or passiam dal copista,
acciò speditamente
a quest'altr'aria adatti
i cangiamenti fatti:
e avanti i quattro dì farassi il resto:
in somma non fa ben, chi non fa presto.